Non potete fare a meno del gas russo, sibila Vladimir Putin. Ahimè, una volta tanto il despota non ha torto. Anche se è vero pure il contrario: l’economia russa, una volta privata dell’Europa, il suo miglior cliente, non va da nessuna parte.

È il risultato dei primi 50 giorni di embargo “volontario” sul fronte dell’energia. Anche se, per ora, non esiste alcun vincolo a trattare il petrolio o il carbone russo, i traffici si sono in sostanza congelati. Nessuna grande società di shipping, la danese Maersk, l’italo-svizzera Msc o la francese Cge, ha caricato o trasportato petrolio o carbone russo. Un po’ per evitare le ire dei contendenti o problemi nelle flotte (il 18% dei lavoratori è russo o ucraino). 



Certo, Mosca ha immediatamente rivolto l’attenzione a India e Cina, possibili sostituti. Più sulla carta che nella realtà, ci informano gli addetti ai lavori. Ci vorrà tempo per attrezzare le raffinerie indiane per lavorare il greggio Ural, nonché per disporre di un numero ragionevole di navi da impiegare su rotte più lunghe. Difficoltà analoghe frenano l’aumento del giro d’affari verso la Cina afflitta dalla nuova ondata di Covid. Il risultato è che l’industria petrolifera russa gira ai minimi, con il rischio tangibile di riempire comunque i depositi. Anche così si spiega il fatto che Mosca vende il petrolio con sensibili sconti sui pressi di listino, dai 30 ai 35 dollari in meno.



Problemi di Putin o, al limite di Xi. Non solo. Fino a poche settimane fa un oleodotto russo forniva fin dai tempi della Guerra Fredda 800 mila barili di petrolio alla Germania e ad altri Paesi dell’Europa orientale dopo un breve viaggio da Est. Ora sarà necessario andarlo a cercare molto più lontano, con conseguenze simili sui suoi costi finali. Insomma, anche senza danni diretti alla produzione, lo sconvolgimento della filiera dei trasporti globale basta da solo a creare inefficienza e inflazione. Lo stesso meccanismo, naturalmente, va a colpire non solo il petrolio ma tutte le materie prime agricole e industriali che solcano i mari del mondo.



Qualcosa del genere potrebbe avvenire presto anche sul carbone. In questo caso, certo, non mancano fornitori alternativi, dall’Indonesia al Sudafrica. Ma dall’altra parte del pianeta. E per quanto riguarda il gas naturale è nebbia fonda. L’Italia, che sta meglio degli altri, potrà contare su gas algerino in arrivo via tubo così come il benedetto Tap. Ma il gas in arrivo dagli Usa o dal Qatar dovrà viaggiare via mare su navi ormai rare e preziose. Niente di paragonabile al prezzo che potrebbe pagare l’economia tedesca: almeno 400 mila posti di lavoro bruciati, tanto per cominciare. Ma anche per Mosca sarebbe disastroso il blackout della sua industria principale: cliente e fornitore anche in questo caso sono legati a doppio filo. 

Il risultato più probabile di nuove sanzioni è l’avvio di una lunga stagione di sommovimenti sociali e politici. Non solo in Russia o nei Paesi condannati alla fame in caso di mancate esportazioni da Russia e Ucraina di mais e frumento, ma anche a Ovest, investito da un aumento dell’inflazione che non si vedeva da 40 anni. Quella del gas è una guerra che nessuno può vincere salvo costi folli.

Insomma, dopo 50 giorni si fa strada l’idea che adottare sanzioni economiche sempre più severe contro la Russia non sia il modo più efficiente per aiutare l’Ucraina. Certo, con le sanzioni l’Occidente evita di entrare direttamente in guerra, ma paga esso stesso un costo molto alto che abbiamo appena cominciato a vedere. L’alternativa, assai poco evangelica, è quella di armare l’Ucraina fino ai denti e dotarla di armi di ultima generazione. Una strategia che alla fine costa di meno e infligge più danni alle operazioni russe, costringendole in molti settori sulla difensiva. 

Andrà così? Di sicuro la mossa potrebbe spiegare l’ottimismo dei mercati finanziari che danno per probabile un rallentamento del tasso di inflazione, sostenuto in questi mesi dall’aumento dei costi, compresi quelli delle filiere dei fornitori. Rallentare l’escalation delle sanzioni può contenere la quantità di combustibile che alimenta l’inflazione. E rimettere così in moto investimenti e tecnologie, le armi migliori per riportare un po’ di buonsenso. 

L’accenno di Putin alla non sostituibilità del gas russo per l’Europa potrebbe essere un primo richiamo al realismo. Buona Pasqua. 

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