L’estate volge al termine. L’ossessione dei leader, però, prosegue. E rischia, complice il caldo, di provocare brutti scherzi. Ne sa qualcosa Matteo Salvini, cui non ha certo portato bene la richiesta di “pieni poteri”. Ma, lasciando ad altri, più esperti e smart, il compito di capirci qualcosa nei segreti italiani, è il caso di non trascurare il palcoscenico maggiore, quello dove giganteggia Donald Trump, sempre in grande forza. L’altro giorno il Presidente Usa ha colto di sorpresa il mondo con una proposta che ci riporta indietro nella storia: l’offerta alla Danimarca perché ceda a Washington il controllo della Groenlandia. Una proposta indecente, per fortuna respinta. È evidente, infatti, che Trump s’interessa all’isola per motivi militari, ovvero per coprire di missili un’area chiave per il controllo del pianeta.



Ma le avances di super Donald contribuiscono a occultare la grande ossessione del Presidente: “Stiamo vincendo”, continua a ripetere a proposito della contesa sui dazi con Pechino, sottolineando che i forzieri di Washington si stanno riempiendo per i quattrini in arrivo dalle tariffe imposte alla Cina. Nel frattempo, però, il deficit commerciale Usa aumenta e l’economia comincia a frenare. Almeno a giudicare dall’andamento del mercato obbligazionario, in picchiata con rendimenti scivolati ai livelli degli anni Settanta, chiaro segnale di recessione in arrivo. Una previsione che Trump smentisce con veemenza attribuendo la previsione negativa ai giornalisti. Anche la scelta di rinviare i dazi su smartphone e giocattoli al 15 dicembre è legata solo alla volontà di fare un regalo ai consumatori e non alla necessità di evitare un tracollo dell’export come insinuano i soliti detrattori.



Eppure la campagna vittoriosa rischia di tradursi in un boomerang. La caduta del commercio internazionale, che ha dimezzato sotto la pressione delle tariffe il tasso di crescita, ha sì aumentato i problemi della Cina assieme a quelli della Germania, con ricaduta violenta su tutta Europa, ma il danno si sta diffondendo anche nell’intera economia a stelle e strisce. E così gli economisti della Casa Bianca, assai più ottimisti di Wall Street, rischiano di restare soli nel prevedere un tasso di sviluppo pari al 3,2% per il 2019. Per ottenere questo risultato, infatti, la locomotiva Usa dovrebbe mettere a segno un rialzo del 5% nell’ultimo quarto.



Non è difficile prevedere che certe stime andranno corrette al ribasso. Così non è difficile individuare il capro espiatorio: la causa del mancato trionfo Usa, secondo il Presidente, è la Federal Reserve che si ostina a frenare il taglio dei tassi di interesse, comunque in calo per la prima volta dal 2008.

Non è una questione “tecnica”, perché Trump è consapevole che l’andamento dell’economia, anzi di Wall Street, sarà senz’altro decisivo ai fini della sua rielezione. Per questo motivo è più che probabile che il Presidente insisterà sulla necessità di abbassare i tassi. E per riuscirci aumenterà il pressing su nemici ed ex amici, senza risparmiare nessuno nella sua crociata per affermare il principio di America First. Di qui la previsione di Goldman Sachs: nessun accordo con la Cina sarà possibile prima delle elezione del 2020. E lo stesso vale anche per l’Europa, da sacrificare all’asse con la Gran Bretagna post-Brexit.

Non sono belle notizie per un Paese come l’Italia che in questi anni ha vissuto di esportazioni e ha urgente bisogno di individuare nuovi driver di crescita in un mondo sempre più complicato. Difficile che se ne venga a capo attribuendo “pieni poteri” a qualcuno. Del resto, come disse Andreotti, “se avessi pieni poteri, farei solo una montagna di sciocchezze”.