L’accordo tra America e Cina ha rilanciato l’ottimismo di breve termine nel mercato globale perché riduce il rischio di un blocco dei flussi commerciali internazionali che sarebbe catastrofico per le nazioni molto dipendenti dall’export. Già l’incertezza su questo punto ha messo in recessione la Germania e in stagnazione l’Italia – il cui Pil crescerà solo dello 0,2% nel 2019 – e depresso gli investimenti privati nel mondo. Possiamo sperare in un ritorno duraturo della fiducia sul piano globale che spinga nuovamente la crescita in Europa e in Italia?



La risposta è anche condizionata dalla conferma della Brexit e dalle conseguenze sul rilevante export degli europei nel Regno Unito. Ci sono segnali che l’Ue cambierà atteggiamento in senso più pragmatico, modificando quello rigido e punitivo voluto finora dalla Francia e che ha complicato la situazione nell’ultimo triennio: prima il divorzio e solo poi un trattato di libero scambio. Ora i due temi verranno trattati in parallelo, alzando la probabilità di una ri-convergenza, anche voluta da Boris Johnson per contenere la spinta secessionista pro Ue sia della Scozia che dell’Irlanda del Nord.



Più importante sarà l’avvio del delicatissimo negoziato tra Ue e Stati Uniti per un trattato bilaterale di libero scambio, dove la prima ha voluto escludere dalla trattativa l’agricoltura per mantenere le protezioni nel settore mentre i secondi hanno lasciato in sospeso, e attiva, la minaccia di dazi pesanti sull’auto. Ma forse c’è una schiarita: avendo la Cina accettato di importare beni agroalimentari dall’America per 50 miliardi – prodotti in Stati fondamentali per la rielezione di Trump -, è probabile che la pressione per venderli agli europei diventi minore. Inoltre, le aziende auto tedesche hanno confermato più investimenti negli Stati Uniti in un incontro riservato con Trump.



Resta la pressione dissuasiva americana su Berlino affinché compri gas dall’America e non dalla Russia e sugli europei per il bando all’espansione cinese nell’Ue. Ma c’è aria di compromesso anche perché Trump, in un anno elettorale, ha bisogno di mostrare successi positivi e non aumento dei conflitti. Questa stessa considerazione, però, getta un’ombra sulla solidità e durata dell’accordo tra Washington e Pechino perché Trump ha dichiarato che la seconda fase dei negoziati avverrà solo dopo le elezioni di novembre e le due mega-nazioni sono in una guerra tipo Roma-Cartagine. Scenario aperto, ma intanto godiamoci la tregua.

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