Fra le transizioni che stanno attraversando questa fase di incertezza, quella relativa al processo di de-dollarizzazione ha le implicazioni maggiori per la riconfigurazione delle relazioni internazionali. È ormai opinione diffusa che le sanzioni inflitte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina abbiano rappresentato un incentivo per chi si oppone all’egemonia USA a ridurre la dipendenza dal dollaro inteso come valuta di riserva globale, mezzo di scambio e unità di conto. Benché il tema della de-dollarizzazione ricorra ciclicamente dal secondo dopoguerra in poi, l’instabilità sistemica che investe gli epocali cambiamenti geo-economici e geopolitici in atto, lo pone al centro delle grandi questioni del nostro tempo.
Infatti, sono molti gli analisti a prevedere per il dollaro un nuovo evento traumatico assimilabile a quello del 1971 quando, cioè, Nixon decise di porre fine alla convertibilità del dollaro in oro, chiudendo la fase iniziata con la conferenza di Bretton Woods (1944). A riguardo, è facile prevedere che una vittoria alle presidenziali di novembre da parte di Trump, che più volte ha evocato un ritorno al Gold Standard, farebbe entrare il dollaro in una nuova e inesplorata epoca. I dati circa il declino del dollaro dal suo status di moneta centrale nel commercio internazionale sono inequivocabili, la sua percentuale nelle riserve estere globali è calata da inizio 2000 addirittura del 70%, mentre secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale nel 2024 la moneta americana rappresentava “solo” il 58,9% delle riserve estere mondiali.
Ma a questo declino non corrisponde l’ascesa dello yuan allo status che è ancora del dollaro. Nel 2024 la moneta cinese valeva il 2,2% delle riserve estere globali, registrando un calo dello 0,7% rispetto allo zenit toccato nel 2022. Un dato significativo, considerando che per contrastare questa tendenza la Banca Popolare Cinese ha deprezzato lo yuan del 3%.
È una situazione complessa in cui coesistono due tendenze opposte: da un lato il dollaro rimane il dominus delle transazioni nel Forex e del commercio globale; dall’altro il tentativo dei Paesi BRICS di dare vita a sistemi monetari che coinvolgano lo scambio di materie prime – fra le quali il trading del petrolio ha un ruolo centrale a fronte della crisi del petroldollaro –, accordi commerciali bilaterali multilivello e naturalmente la riduzione delle attività denominate in dollari.
In modo troppo semplicistico la de-dollarizzazione viene spiegata come un processo che porterà alla realizzazione di un multipolarismo valutario più “aperto” ed efficiente basato sull’autonomia monetaria e quindi sulla riconquista della sovranità finanziaria da parte dei Paesi del Global South che per troppo tempo hanno patito la dipendenza dal dollaro. Una lettura ottimistica e superficiale che nasconde tutti i rischi insiti in una transizione da un sistema monetario all’altro. Non occorre dare uno sguardo alla Storia per capire che cambiamenti simili non sono né indolori né automatici. L’affermazione dell’egemonia della sterlina (prima) e del dollaro (poi) hanno seguito conflitti globali e molto probabilmente, per affermarsi, anche la moneta di riserva del futuro dovrà attraversare eventi drammatici.
Ad ogni modo, guardare alla ciclicità dei processi economici non sempre è utile per capire a cosa stiamo andando incontro. Occorre volgere lo sguardo alle novità specifiche di questa fase. La transizione in atto sembra avere avuto come esito una frammentazione dell’architettura finanziaria in almeno tre aree dotate di una propria infrastruttura monetaria: un sistema che fa riferimento al dollaro e quindi alla moneta fiat, uno multivalutario basato su accordi bilaterali e infine quello dei Paesi BRICS con una moneta commerciale che ha come sottostante materie prime. Al momento non è dato sapere se a prevalere sarà l’economia di carta basata sul dollaro o quella dei BRICS che si basa sull’oscillante valore delle materia prime. Sono troppe le variabili sul tavolo, e investono la sfera militare, tecnologica e politica, con l’incognita Trump sullo sfondo.
Come non è detto che saranno le grandi potenze i soli attori di questa partita. L’allontanamento dal dollaro e dallo yuan operato dalle principali banche centrali ha favorito un ritorno alla “moneta senza Stato” per eccellenza: l’oro, che è il protagonista di questa fase di diversificazione delle riserve nazionali. Una tendenza che in tempi di grandi cambiamenti geopolitici, tecnologici ed energetici potrebbe essere foriera di grandi novità.
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