Lo scenario economico internazionale non sembra dei migliori in questo periodo. L’inflazione, spinta dai rialzi delle materie prime soprattutto energetiche, sta diventando un pericolo sempre più concreto e le Banche centrali (come hanno ribadito in questi giorni sia Jerome Powell che Christine Lagarde) non sembrano voler intervenire rapidamente per fronteggiarlo, anche perché questo significherebbe mettere in difficoltà i Paesi più indebitati e determinare fibrillazioni sui mercati. La Cina, oltre che per la vicenda Evergrande, fa notizia per la decisione di tagliare le forniture energetiche a intere aree produttive.
Negli Stati Uniti il Segretario al Tesoro Janet Yellen ha parlato di “rischio default” se entro il 18 ottobre il Congresso non troverà un accordo per aumentare il tetto del debito pubblico. L’Europa, oltre all’incertezza sul prossimo Governo di Berlino, rischia di pagare il prezzo più alto vista la sua forte dipendenza da materie prime provenienti dall’estero. «Ci troviamo in una situazione molto particolare – ci spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – e se dovessi indicare un elemento pivot, di guida, per ragionare direi che si tratta della Cina».
Perché?
Si sta ripetendo una situazione già vista all’inizio degli anni ’70: le decisioni politiche dominano sulla dinamiche economiche. Lo sganciamento del dollaro dall’oro, il blocco Opec che tenne duro sul prezzo del petrolio contribuirono a determinare le conseguenze ben note di quel periodo. Oggi la Cina può influenzare l’offerta di materie prime in modo diretto e indiretto, con la presenza che ha in Africa. Inoltre, quanto più diventa più equilibrata dal punto di vista dell’attività economica interna, come vuole Xi Jinping in cerca della riconferma del suo mandato, tanto più questo si traduce in un rallentamento delle importazioni provenienti dai Paesi europei, in particolare la Germania. In questo momento Pechino, con le sue decisioni politiche, può condizionare sia l’offerta che la domanda con ricadute globali.
Gli Usa in che situazione si trovano?
C’è una certa preoccupazione per quel che sta avvenendo al Senato, con i Repubblicani che stanno bloccando l’aumento del tetto del debito. La politica fiscale americana ha funzionato, l’economia è ripartita, ma non ancora non in maniera piena e lineare. Nel frattempo il debito è fortemente aumentato e questo è un problema. C’è da sperare che la situazione al Congresso si sblocchi, magari tramite un accordo che ridimensioni alcuni dei programmi di spesa approvati dai Democratici, perché Biden ha bisogno di una maggioranza politica che gli consenta di governare una situazione che, nonostante le parole di Powell, non è così tranquilla: l’inflazione può essere un pericolo.
Quanto può esserlo?
Il vero problema è che la spinta inflattiva potrebbe non avere una radice sana, ovvero un’economia che si espande in modo abbastanza uniforme. È chiaro che se l’economia va bene i prezzi salgono, ma questa non sembra essere la situazione attuale. Anzi, c’è il rischio che i cosiddetti colli di bottiglia anziché allentarsi tramite una maggior offerta, vengano mantenuti proprio mediante una restrizione dell’offerta, con il risultato finale di far crescere i prezzi. Il caso del gas russo è in questo senso emblematico.
E determina una problema pesante per l’Europa. Il nostro continente, in tutto questo quadro, rischia di pagare il prezzo più alto?
Sì, non solo per la sua dipendenza energetica. Sappiamo infatti quanto in Germania si sia sensibili all’inflazione. Forse meno noto è il fatto che per i tedeschi si sta acuendo il problema dei rincari degli affitti, visto che a differenza degli italiani non hanno molte case di proprietà. Tutto questo rischia di impattare negativamente sul loro tenore di vita e credo che dopo le elezioni di domenica si sia avviata una fase nuova non solo sul piano politico, ma anche economico per via delle scelte che Berlino adotterà su questo versante. È chiaro che un possibile rallentamento della Germania, determinato anche, come spiegato prima, dalle scelte cinesi, avrebbe ripercussioni sulla catena produttiva interna all’Europa. Ci troveremmo di fronte a un problema europeo che andrebbe inevitabilmente a incrociarsi con il dibattito relativo al futuro delle regole del Patto di stabilità. Credo che debba aumentare la consapevolezza che ci sono ampie aree con potenziale di crescita in Europa e che ci si dovrebbe concentrare su di esse anziché avere come obiettivo l’export in Cina.
(Lorenzo Torrisi)
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