Nel dibattito pubblico stimolato dal centrodestra è osservabile una crescente attenzione al tema dell’indipendenza/sicurezza energetica e tecnologica. Tra le iniziative in materia è stato molto importante e istruttivo il seminario organizzato dalla Fondazione Fare Futuro in collaborazione con il Digital Policy Center, il 16 marzo scorso a Roma. In quell’occasione chi scrive ha proposto una visione a tre livelli dell’indipendenza/sicurezza nei settori critici, estendendola oltre quello nazionale ed enfatizzando la trasformazione della sicurezza stessa in competitività.
I tre livelli sono nazionale, europeo e G7. L’Italia deve ovviamente aumentare la produzione residente di energia, ampliando la matrice delle fonti, ma ha bisogno anche di importarla in buona parte, certamente in uno scenario di 10-15 anni al riguardo dei combustibili fossili. Ciò implica che la sicurezza del rifornimento energetico non potrà essere solo nazionale, ma dovrà avvalersi principalmente dell’ombrello Nato e G7 per presidiare la zona geografica critica. Inoltre, per la stabilizzazione di questa zona con metodo di convergenza, avrà bisogno di un ingaggio economico dell’Ue.
Questa annotazione appare sensata se alla sicurezza energetica si aggiunge quella del rifornimento di materiali critici. Da un lato, l’Italia ha più potenziale minerario (e di capacità di sfruttamento di materiali riciclati) di quanto si pensi. Dall’altro, ha bisogno di gestire una quantità di importazioni entro un’alleanza globale tra democrazie e nazioni compatibili, anche se non democratiche, che le permetta rifornimenti abbondanti, senza ricatti geopolitici, a prezzi sostenibili. Semplificando, l’indipendenza/sicurezza dei rifornimenti basici richiede tre livelli di azione: più sfruttamento residente, più convergenza con l’Ue, ma privilegiando quella entro il G7. Così il tema di costruire una zona sicura del mercato internazionale per l’export italiano deve combinarsi con il perimetro di sicurezza delle importazioni espandendo gli accordi industriali bilaterali con più nazioni del pianeta, spingendo l’Ue a essere più estroversa in materia di accordi commerciali sui quali le nazioni le hanno dato delega. In tal modo il ciclo di capitale nazionale derivato dai flussi di scambio in e out otterrebbe sia equilibrio, sia potenziale di espansione.
Il tema dell’indipendenza tecnologica, che sarebbe più corretto definire di competitività nazionale, è leggermente diverso. In questo settore, infatti, bisogna calcolare un alto grado di concorrenza tra alleati. Pertanto qui lo sforzo nazionale deve essere più intenso, al punto di generare una “rivoluzione cognitiva” nel sistema nazionale per ottenere un “potere cognitivo” che permetta sia concorrenzialità, sia collaborazioni alla pari con altri.
Ma può l’Italia fare da sola tale sforzo? Ha molto più potenziale di quanto si pensi, ma questo può trovare attualizzazione solo partecipando a grandi programmi con gli alleati: spaziali, armamenti, nuove energie, in particolare la fusione nucleare, tecnologie mediche, alimentari, di ecoadattamento, di ecologia artificiale, ecc. Pertanto si apre una stagione in cui l’Italia dovrà armonizzare il potenziamento nazionale con una capacità selettiva delle alleanze più produttive, requisito per una Global Italy.
www.carlopelanda.com
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