Il gruppo di ricerca di chi scrive ha ricevuto richieste di stimare il possibile impatto economico e finanziario della nuova crisi in Medio Oriente. Non ci sono ancora dati sufficienti per una valutazione, ma si può tentare uno “scenario condizionale” preliminare, cioè individuare le condizioni di minimizzazione degli impatti.



L’azione di Hamas contro Israele è stata preparata dall’Iran con l’obiettivo primario sia di sabotare i negoziati tra Arabia e Israele, sia di rendere l’Iran stesso il vero protettore della causa palestinese. Pertanto il vero bersaglio è l’Arabia, nonché gli Emirati, dove l’obiettivo è impedirle di diventare l’anello di congiunzione ferroviaria sulla “Via del Cotone” (accordo preliminare nel recente G20 di New Delhi) tra India e Mediterraneo. Combinato con quello di rendere l’Iran e i suoi proxy Hamas e Hezbollah (questo apparso prudente per timore di eliminazione) veri difensori dell’Islam, mostrando la capacità di mettere in difficoltà il potere israeliano.



Questa azione sta avendo un iniziale successo e inducendo eccitazione in gran parte del mondo islamico, mettendo in difficoltà i regimi sunniti disponibili alla pacificazione con Israele. Si trova anche in difficoltà l’Autorità palestinese perché l’Arabia ha chiesto a Israele concessioni rilevanti a suo favore, per non essere accusata di tradire la causa palestinese, e Israele ha mostrato di essere pronta a trattare per concederle. E si trovano in massima difficoltà i residenti di Gaza che Hamas ha preferito esporre senza alcuna preparazione di tutele al rischio della reazione israeliana per non rinunciare all’obiettivo – preparato con notevole segretezza e forse con qualche disattenzione israeliana voluta per motivi da capire – ordinato dall’Iran di sabotare la convergenza tra Arabia e Israele, mediata dagli Stati Uniti.



Qui c’è un punto di vulnerabilità dell’azione iraniana che ha indotto i regimi arabi sunniti a moderare la risposta all’attacco e l’Autorità palestinese a non gettare benzina sul fuoco. Ora Israele ha il dilemma strategico di come calibrare la forza nella reazione all’attacco: se sarà solo proporzionale/selettiva il conflitto potrà restare un episodio che non compromette la convergenza arabo sunnita-israeliana, ma così facendo Gerusalemme potrebbe dare un segnale di eccessiva debolezza. È un dilemma.

Un’ipotesi per compensare il rischio di Israele incentivandola a tenere limitato il conflitto, evitando così impatti destabilizzanti sull’economia e finanza globale, è quella di fornirle più sicurezza e sostegno, nonché accordi economici, da parte di Ue e Stati Uniti, anche ingaggiandoli per fornire garanzie e incentivi ai regimi arabo-sunniti affinché non interrompano la convergenza araba-israeliana. Un tale scenario condizionale non è escludibile vista la consapevolezza della sua utilità da parte americana ed europea, l’Italia in prima linea nelle relazioni con l’Egitto. Ma resta l’interrogativo di quanto Cina (sospettabile di aver spinto la mossa iraniana) e Russia spingano riservatamente il conflitto, a loro utile. Aggiornamenti.

www.carlopelanda.com

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