Colpisce un recente articolo di Ebtesam Al-Ketbi, direttrice dello Emirates Policy Center (braccio del ministero degli Esteri degli Emirati) e luogo che organizza annualmente uno “Strategic Debate” a cui partecipa tutto il mondo islamico-sunnita. Nel 2019 ebbi l’occasione di vedere sia l’influenza di tale istituto, sia l’interazione con l’Arabia che non si esprime direttamente, ma concorda le comunicazioni di visione strategica con questo istituto stesso. Il punto: la dottoressa Al-Ketbi invoca la ripresa delle relazioni tra Nato e nazioni sunnite del Golfo (Ici) avviate nel 2004 a Istanbul, ma poi interrotte, come messaggio rivolto al summit Nato di Washington. Tale messaggio va preso sul serio, non solo da Roma che punta a rafforzare il fronte Sud della Nato, ma anche dal mondo degli investimenti finanziari.
Arabia ed Emirati non si fidano dell’elezione di un riformista come Presidente dell’Iran, comunque condizionato dal potere superiore degli Ayatollah e ricattato dalle milizie del regime teocratico. Né si fidano dell’approccio amichevole della Cina pur cercando di perseguire con Pechino buone relazioni. È chiara la preoccupazione di un blocco dello Stretto di Hormuz, estesa all’azione aggressiva delle milizie filo-iraniane yemenite Houthi nell’area marina all’imbocco del Mar Rosso.
In prima sintesi, le nazioni del Golfo percepiscono un problema di sicurezza che non possono risolvere né da sole, né con metodi diplomatici privi di deterrenza. In seconda sintesi va annotata la strategia post-petrolifera di Emirati e Arabia: usare gli enormi introiti dei combustibili fossili per investire su una centralità economica, tecnologica e finanziaria alternativa da realizzarsi nei prossimi decenni, ma partendo ora. Per esempio, il programma spaziale emiratino e la nuova supercittà multifunzionale saudita Neom.
La mia sensazione è che la tentazione iniziale delle nazioni della penisola arabica di partecipare a un Sud globale con strategia di terza forza mondiale capace di selezionare in base al vantaggio le relazioni con il blocco delle democrazie, guidato dall’America, e quello sinocentrico dei regimi autoritari si sia ridotta, non solo per sicurezza, ma anche per aggancio di mercato: la relazione con G7 e Nato appare più vantaggiosa, combinando sicurezza e relazioni geoeconomiche. Che è posizione simile all’India: non sudditanza al mondo amerocentrico, mantenimento delle relazioni con la Russia pur con limiti, ma convergenza forte con l’Occidente. Movimento che implica un’apertura del G7, in atto, e anche della Nato, in esplorazione iniziale.
Se uno calcola, pur grezzamente, le quantità di investimenti comuni che tali aperture implicherebbero spingerebbe molto la riapertura di un tavolo tra nazioni del Golfo e Nato con orizzonte la connessione Indo Pacifico-Mediterraneo (Imec). Roma è in buona posizione per spingere una tale architettura geopolitica ad alto impatto positivo sul ciclo del capitale proprio e degli alleati. Spinga di più.
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