SQUID GAME. Calamari di tutti i Paesi unitevi, la vendetta è vicina. Almeno sullo schermo. È la lezione planetaria in arrivo da Netflix, la piattaforma che misura i gusti del pubblico sotto i cieli post-Covid rivelando paure e passioni impensate. E così capita che nei giorni in cui finisce sotto processo il manipolatore Mark Zuckerberg, l’Antitrust mette nel mirino lo strapotere di Google e i titoli di Amazon scendono sotto il livello di inizio anno, le azioni di Netflix mettono a segno un rialzo superiore al 5% sfondando ogni record.
Merito di Squid Game, ovvero “Il gioco del calamaro”, la serie che ha sbaragliato ogni record precedente, stracciando i risultati de La casa di carta, il serial populista che a suo tempo conquistò il pubblico affascinato dall’assalto ai poteri forti, o di Bridgerton, la telenovela popolare in cui il bel principe della fiaba è un sex symbol di colore, in omaggio alla filosofia del “Black lives matter”. Il calamaro che arriva dal Paese che non t’aspetti, la Corea del Sud, ha stracciato questi precedenti.
Dal 17 settembre, giorno in cui è stata lanciata la serie, Squid Game è diventato lo spettacolo più visto in oltre 90 Paesi serviti dal colosso dello streaming. Italia compresa. Tutti a seguire le gesta dei diseredati che accettano di partecipare in un’isola sperduta a gare estreme in cui la sconfitta significa morte sicura. Centinaia di disperati schiacciati dai debiti pronti a tutto pur di conquistare il premio finale, più di 40 miliardi di dollari, messo in palio dai Vip dal volto nascosto dalle maschere, così come i guardiani, trasparente metafora dello strapotere del capitale in un mondo stressato dal Covid, che ha accresciuto le diseguaglianze tra ricchi e poveri.
Non è certo per caso se il copione messo a punto dall’autore, il coreano Wang Dong Hyuk, è stato respinto più volte negli ultimi dieci anni dai produttori cinematografici, sconcertati di fronte a un copione onirico, poco credibile tanto è violento. Salvo poi convincere Minyun Kim, il responsabile delle fiction asiatiche di Netflix che ha intuito che questa storia violenta e maledetta rappresentava una metafora convincente del mondo post-Covid. Sorprende semmai come la storia, ambientata nei sobborghi di Seul, megalopoli ipermoderna del Far East, abbia incontrato fin da subito i favori del pubblico occidentale, a partire dai più giovani.
Certo, grazie ai suoi algoritmi Netflix è in grado di offrire il doppiaggio in 13 lingue. Ma la stragrande maggioranza segue il plot grazie ai sottotitoli (31 lingue) per niente disturbata dal suono di un idioma del tutto incomprensibile che spesso fa da sfondo ai 14 miliardi di video con l’hashtag #SquidGame pubblicati si Tik Tok. Né è un problema per i 40 mila ragazzi che, scrive il Wall Street Journal, nella sola giornata di lunedì hanno scaricato da You Tube la maschera in 3-D dei carcerieri dell’isola: i calamari in plastica, anche in Italia, saranno i costumi più indossati per il prossimo Halloween. Anche perché, a differenza di “Guerre Stellari” o altre saghe hollywoodiane, per vestire i panni di Seong Gi Hung, e di Kang Sai-Biok basta una normale tuta verde, senza problemi di copyright.
Sono loro i due eroi più popolari della sfida spietata: il primo, spiantato ex operaio che di notte rivive l’incubo delle squadracce di polizia scatenate contro i picchetti di scioperanti in lotta contro la serrata di Hyundai; il secondo uno yuppie, uscito dalla spietata selezione della Seul University, in fuga dopo una speculazione sfortunata in Borsa. Pentito ma non troppo perché non esita a truffare un emigrato pakistano, condannandolo alla morte in sua vece.
Storie che, come il vincitore dell’Oscar Parasite (anch’esso presente su Netflix che investirà un miliardo di dollari in titoli coreani), offrono un quadro inclemente delle diseguaglianze sociali vigenti in Corea, così come in molti altri Paesi. Ma il tema affrontato, quello dei moltissimi cittadini spinti sul baratro dal sistema capitalistico, è estremamente attuale a tante altre latitudini.
La brutalità dei giochi di Squid Game non è che un’allegoria della violenta, crudele competizione alla quale la società moderna ci spinge ogni giorno. Specie nelle terre di frontiera contese dalle superpotenze: la Corea del colosso dei chip Samsung, insidiata dai missili nucleari di Pyongyang, a pochi chilometri dalla frontiera calda di Taiwan, ha ormai il ruolo di avanguardia della Guerra Fredda che a suo tempo ricoprì Berlino. Non è un caso che qui maturino il cinema più vivace e colto assieme al boom del K-pop che conquista il pubblico Usa: “Gli incubi politici e la violenza -diceva Orson Wells ne Il rerzo uomo – sono stati il teatro del Rinascimento, 500 anni di pace in Svizzera ci hanno dato l’orologio a cucù”.
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