In questo intervento si cercherà di offrire una visione della tensione severa a cui sono sottoposti gli equilibri finanziari mondiali, con particolare attenzione agli Stati Uniti d’America, utilizzando la prospettiva particolare di quanto le riserve auree del Paese sarebbero da valutare in ipotetici scenari di crisi sistemiche.
Compareremo cioè in modo secco, seppure imperfetto e non esaustivo, la riserva aurea degli Usa pari a 8.178 tonnellate di oro fisico ai suoi due maggiori debiti, e cioè il debito pubblico pari oramai (dato il nuovo accordo congressuale) a 33.000 miliardi di dollari e la posizione netta debitoria sull’estero pari a 16.500 miliardi di dollari, paragonando poi i valori che troveremo al valore che si ha attualmente sul mercato dell’oncia d’oro, valevole al giorno del 04 luglio 2023 a 1.925 dollari/oncia; nel caso degli Usa è immediato considerare solo le riserve auree, dato che le altre riserve delle banche centrali sono dollari al 58%, oro e altre valute; ne consegue che gli Usa al di fuori del dollaro hanno solo l’oro come vero asset esterno di garanzia.
I valori che vengono fuori sono strabilianti: se l’oro in riserva alla Fed dovesse essere liquidato per pagare il debito pubblico ne verrebbero fuori i valori di 129.735 dollari/oncia e 4.035,21 dollari al grammo, mentre sul mercato al momento attuale il grammo fisico è scambiato a circa 61,50 dollari. Per le comparazioni sulla posizione netta debitoria esterna, avremmo 64.867,50 dollari/oncia, e 2.017 dollari per il grammo.
La fotografia immediata dei dati è impietosa, in quanto il valore dell’oro per i cittadini normali e per gli operatori finanziari è di 100 volte minore rispetto alla liquidazione potenziale del debito pubblico e di circa 50 volte minore rispetto all’estinzione della posizione netta debitoria esterna degli Usa. In poche parole, leve così alte di indebitamento non erano mai state raggiunte nella storia del Paese e nemmeno nell’Occidente sviluppato; infatti, ad esempio in Germania tale leva scende a 5-6 volte per il debito pubblico ed è assente per la posizione esterna, dato che al contrario il Paese è un creditore netto.
Queste constatazioni ci fanno vedere in modo immediato la solidità e la salubrità ancora in essere del sistema tedesco, mentre al contrario gli Usa sono seduti su un immane castello di carta, che sta ancora tenendo perché il dollaro è detenuto nelle riserve mondiali al 58% circa di composizione media, e negli scambi ancora si usano dollari al 70% circa.
Ma questo peso sulle riserve e sugli scambi mondiali è in sensibile decrescita dagli anni 2007/2008 in avanti, e senza un vero trend di modificazione andrà sempre più peggiorando nell’ottica statunitense; ecco perché, dunque, il segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, tempo fa al Congresso ha dichiarato che gli Usa dovranno abituarsi a un cambio di prospettive e non contare più sul dollaro come asset di scambio e riserva mondiali.
In un precedente intervento ho già evidenziato che nell’ambito della finanza mondiale si sa di vivere sotto una immensa spada di Damocle, e cioè il timore di fino a quando le cose rimarranno così come sono incentrate sul dollaro, e poi in sequenza il ritmo di tali cambiamenti e l’intensità stessa dei medesimi. Da tutte queste cose, quindi, si deduce che le due organizzazioni che al momento mettono in affanno e angoscia gli Usa sono l’Opec+ e i Brixs; la classe politica americana deve essere all’altezza di trovare una soluzione adeguata ai cambiamenti in corso e fare conto che l’egemonia appartiene ormai al passato; cosa che del resto, a poco a poco, apparato militare, industriale, amministrativo, finanziario stanno imparando a valutare in maniera sempre più corretta e preoccupata.
Certamente, in merito alle comparazioni di prima tra riserve auree e debiti della nazione si può obiettare che tali debiti sono garantiti in prima istanza dal volume e dal pregio del Pil Usa, primo nel mondo, e dalla loro centralità negli equilibri geostrategici del pianeta; ma qui, quel che si vuol mettere in luce in maniera essenziale, è l’immensità dei debiti creati per costruire l’impero americano; e in effetti, ora nel mondo se ne vuole l’azzeramento e tale azzeramento presuppone o una crescita che abbisognerebbe delle risorse di un altro pianeta, oppure in maniera più canonica e ordinaria la svalutazione sensibile del dollaro che ne farebbe perdere lo status di riserva e che poi all’interno porterebbe inflazione e problemi sociali sempre più grandi. Questo è lo scenario di fondo degli immensi cambiamenti che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte, e che già nella quotidianità iniziano a far capolino.
Chiaramente, si può anche affermare che per garantire e liquidare i debiti c’è tutto il patrimonio della nazione Usa ben superiore a 33.000 miliardi di dollari e valutabile (ma qui parliamo di fanta-finanza) a 120.000-125.000 miliardi di dollari; ma voi ve lo immaginate che per pagare debiti si vendano acquedotti, porti, infrastrutture energetiche, tecnologiche e così via?
Questi sono solo scenari da fine di una nazione, che prima del Novecento avvenivano in modo conclamato con la sconfitta nei conflitti; ad esempio, Giappone, Italia e Germania in ultima serie temporale; ma in maniera particolare è avvenuto tutto questo anche con il crollo dell’Urss nel 1991 e la consequenziale liquidazione selvaggia e a prezzi infimi di innumerevoli asset.
A questo serve l’oro che essendo di fatto liquido regola i debiti in maniera immediata; certo, però, trovarsi che dai 1.927 dollari/oncia del mercato, per liquidare la posizione netta debitoria all’esterno l’oro dovrebbe valere 64.867,50 dollari/oncia, mette indubbiamente paura e, come detto prima, dà una fotografia della situazione, grave severa e impietosa.<
Del resto, varie volte si è affermato che non tocca arrivare ai valori teorici di sopra per avere la fine del dollaro come asset di riserva e si è invece già sottolineato che al valore di 2.700-2.800 dollari all’oncia inizierebbe un aumento dell’intensità di svendita di dollari che ci troveremo in breve volgere di tempo in crisi sistemiche non gestibili più in maniera ordinaria e placida a nessun livello: né economico, né sociale, né politico.
In effetti, i Brics già nell’appuntamento di agosto in Sudafrica dovrebbero mettere a punto i programmi operativi di una loro valuta di conto con a base il valore dell’oro; il problema sorge se e quando diventa operativa una cosa del genere, perché si creeranno due prezzi diversi in dollari dell’oro, l’uno dei creditori, i Brics, e l’altro dei debitori, gli Usa; se a questo aggiungiamo poi, che circa altri 30 Paesi per nulla piccoli hanno chiesto l’adesione ai Brics, la situazione non fa che aggravarsi. Ne diamo un elenco non esaustivo: Iran, Algeria, Turchia, Indonesia, Nigeria, Arabia Saudita, Venezuela, ecc.; insomma, tutti Paesi possessori giganteschi di materie prime ed enormi a livello demografico. Forse è proprio per questo che la Francia ha chiesto di essere ammessa alla conferenza di agosto come osservatore esterno, scatenando le contrarietà della Russia, almeno per ora.
Un aspetto, però, che si deve senz’altro sottolineare è che in qualche modo se gli Usa si trovano al momento in questa situazione è dovuto al fatto di enormi sbagli strategici che hanno commesso dall’inizio degli anni 2000 a ora; non hanno previsto la rapida e profonda e non banale crescita cinese, hanno scherzato con il fuoco nella contrapposizione strategica con la Russia, e ora si trovano all’angolo e in affanno. Vanno sempre ricordate come parole e pensieri saggi, al di la di tanta informazione e propaganda, le esternazioni di Xi Jinping, che sottolinea come il vero problema cinese è dare uno standard di vita moderno ai livelli occidentali a 1.480 milioni di cittadini; al contempo, però, i cinesi sono cresciuti oltre le aspettative statunitensi nella produzione matura industriale, nei volumi finanziari, negli scambi internazionali; la Cina sta implementando ora la qualità estesa alla quantità e ha trovato un partner che la protegge dalla potenza bellica Usa, e questo partner è la Russia.
Con i russi gli americani hanno giocato, a mio parere, in modo superficiale e sicuro e ora se li trovano contro nei fatti, mentre per le ideologie il dato è confuso e controverso : entrambe le nazioni cristiane e a economia di mercato, ma la Russia con i valori tradizionali della famiglia e dello Stato, e gli Usa invece con l’esasperazione dei diritti individuali. Spiace dirlo, siamo di fronte a uno scontro confronto di potenza, e dietro, con saggezza millenaria e pazienza altrettanto lunga, i due giganti cinese e indiano stanno aspettando il prezzo di un indebolimento dei due contendenti sempre più pronunciato e ricattabile.
Perciò, l’oro non è altro che un termometro che accompagna l’uomo e le sue civiltà da 7.000 anni registrando ogni variazione.
giovanniricci669@gmail.com
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