Il decennale italiano ha chiuso la settimana con un rendimento più alto di quello di mercoledì, prima che la Bce decidesse di tagliare i tassi. Gli ultimi dati sul mercato del lavoro americano, comunicati ieri pomeriggio, sono stati migliori delle attese con un incremento di posti lavoro superiore alle stime e un aumento medio dei salari più alto di quanto si stimasse. Le attese sul primo taglio della Fed, che fino a giovedì veniva dato per probabile con la riunione di settembre, si sono spostate a novembre. La somma dei dati sul mercato del lavoro e un’inflazione ancora sopra il 3% “obbligano” la Fed a mantenere i tassi ai livelli attuali. Il mestiere della banca centrale americana per ora è facile; si potrebbe complicare se, per esempio, dovesse scegliere se sostenere un mercato del lavoro debole, tagliando i tassi, in presenza di un’inflazione ancora superiore al 2%. Questo però non è lo scenario attuale anche al netto degli elementi arbitrari con cui si calcola l’aumento del numero delle buste paga e che nel caso di ieri probabilmente sovrastima la salute del mercato del lavoro.
La prudenza della Bce si spiega anche alla luce dei dati americani; estendere o prolungare troppo la divaricazione della politica monetaria da quella americana espone l’unione a rischi di indebolimento del cambio, inflazione importata e deflusso di capitali. Rimane il mistero di un ciclo che sta sopravvivendo oltre qualsiasi previsione; solo sei mesi fa si scontavano sei tagli dei tassi della Fed nel 2024 mentre oggi siamo fermi a uno. È un mistero per modo di dire perché l’economia americana è trainata da un deficit fiscale fuori scala e da una ripresa industriale che affonda le radici nella crisi energetica europea e in costi dell’elettricità e dell’energia minimi con la produzione di petrolio di Washington che aggiorna nuovi massimi mese dopo mese e il prezzo del gas che a febbraio, in piena stagione invernale, viaggiava ai minimi degli ultimi 30 anni. Il prezzo del gas in America è un quinto di quello europeo.
Lo scenario geopolitico europeo consegna al Governo americano altre munizioni oltre a quella di avere la valuta di riserva globale. Più si parla di guerra in Europa, più le obbligazioni statali americane vengono percepite come un rifugio nonostante il deficit fiscale americano oltre il 6% nel 2023, con l’economia in piena ripresa, e un deficit commerciale che non accenna ad arrestarsi. Niente, oltretutto, lascia intendere che gli Stati Uniti abbiano voglia di intraprendere un percorso di consolidamento fiscale. Non c’è austerity di Bruxelles che tenga rispetto al rischio di un coinvolgimento diretto dell’Unione europea in una guerra; in questo caso gli Stati Uniti sono destinati a sembrare migliori dell’Europa a prescindere da qualsiasi politica fiscale per quanto sconsiderata. Meglio l’obbligazione di un Paese fiscalmente irresponsabile di una di un Paese in guerra.
La speranza dell’Europa, che vorrebbe tagliare i tassi ma non può, è che finalmente emergano segnali di crisi “vera” in America. Non mancano criticità ed episodi di indebolimento dei consumi, ma il quadro economico, nel complesso, rimane stabile a fronte di spinte inflattive generazionali: deglobalizzazione e invecchiamento della popolazione, con un’uscita di lavoratori superiore agli entranti, solo per nominare le più evidenti.
La crisi americana arriverà prima o poi, ma questa non può essere la strategia europea. L’appuntamento con il rallentamento americano è già stato posticipato di sei mesi e questo non è un dettaglio per l’Europa perché ogni mese di ritardo, in cui l’Europa non può tagliare i tassi, infligge danni all’economia europea. Il quadro poi rimane sfavorevole all’Europa perché Italia e Germania sono alle prese con una crisi energetica senza fine che, uniche nel panorama globale, pensano di curare a colpi di decine di miliardi di euro di rinnovabili mentre l’America si gode una crescita della produzione di idrocarburi senza sosta. Poi c’è la prospettiva di un coinvolgimento diretto nella guerra in Ucraina che non fa bene ai rendimenti delle obbligazioni. Infine, il deficit americano prolunga la crescita a stelle e strisce oltre qualsiasi previsione e esporta inflazione in Europa.
La soluzione ai problemi europei non è una tecnica economica o monetaria. La condizione necessaria per trovare una via d’uscita è il riconoscimento di quali siano i termini politici del vicolo cieco in cui si è infilata l’Europa.
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