Nel pomeriggio del 13 ottobre sono stati pubblicati i dati relativi all’inflazione generale e core dei beni al consumo degli Stati Uniti, e riferentesi a settembre 2022 in tendenziale sull’anno. Abbiamo pertanto 6,6% per l’inflazione core e 8,2% per quella complessiva del paniere dei beni; il consensus di Wall Street aveva come aspettativa l’8,1% per l’inflazione complessiva e il 6,5% per quella core. In maniera del tutto similare, chi scrive aveva previsto l’8-8,1% con intervallo minimo al 7,8%, avendo così una lieve sottostima nel puntuale dello 0,1%.
Quello che però importa sottolineare è che quest’ultimo dato inflattivo è veramente di difficile interpretazione, sia nel merito che negli aspetti numerici più appariscenti. Già nel precedente intervento inerente la stima, avevo sottolineato come di fondo, nella sostanza, a tenere vivo il fenomeno inflattivo negli Usa sono per la parte maggioritaria fattori esogeni, fuori quindi dal controllo della Fed e della Casa Bianca. Parliamo pertanto della guerra in Ucraina, della crisi energetica e alimentare globale, delle tensioni con la Cina, della fine non fine della pandemia da Covid-19.
A livello macroeconomico tali fattori possono essere affrontati e gestiti solamente dalla Casa Bianca e il ricettario non è quello di un testo di macroeconomia tout court, bensì quello dell’armanentario della politica complessiva delle relazioni internazionali e quindi per definizione una globalità di aspetti non riducibili a sintesi, ma che al contrario generano continue tensioni critiche dovute a soluzioni parziali.
Già è stato sottolineato che al momento prezzi fondamentali dell’economia internazionale sfuggono al meccanismo pieno e quantitativo dell’incrocio tra domanda e offerta, per definirsi al contrario dentro dinamiche più complessive di tipo geo-strategico, parliamo ad esempio del dollaro, dell’oro, del petrolio, delle derrate alimentari, dei fertilizzanti, delle materie prime, e di quelle legate alla transizione green. In parole povere, le risorse di ogni tipo così come erano prezzate nel mondo globalizzato fino al 2019, in questo momento non lo sono più, anche se in alcuni casi permane un’identità di prezzo, il meccanismo sottostante è profondamente cambiato.
Il concetto va illustrato con chiarezza: la globalizzazione non opera più, sia essa momentaneamente sospesa oppure definitivamente finita. Delle esemplificazioni ci aiuteranno a comprendere e visualizzare vere e proprie zone di isteresi; partiamo così proprio dall’attuale dato inflattivo Usa tendenziale pari all’8,2% con tassi dei Federal funds pari al 3,5% come limite superiore, si vede per l’appunto in modo istantaneo che chi presta denaro perde i propri soldi perché l’inflazione porta a un tasso di interesse reale negativo. Bene, per la teoria più robusta e valida l’equilibrio tra un prenditore di fondi e un prestatore può essere mantenuto se e solo se chi presta fondi viene ricompensato in maniera reale, ma in modalità positiva non negativa; nonostante tale contraddizione economica teorica, il dollaro si rafforza perché chi lo acquista accetta di pagare interessi e andare incontro a perdite in conto capitale nel tempo, perlomeno sul mercato statunitense.
Come si può spiegare tale aberrazione? Una prima spiegazione e forse, e anzi senza forse l’unica, è che questo generico investitore qualifica il mercato interno statunitense e il dollaro come diversi da tutti gli altri mercati del mondo, e quindi è disposto ad andare incontro a perdite per proteggersi da una più vasta incertezza che riguarda il resto degli altri Paesi; in sostanza avere dollari è più sicuro che avere oro, petrolio, materie prime, derrate alimentari, ecc.
In altre parole, ciò di cui sopra era una certezza fino al 2018, mentre oggi è divenuta una scommessa rischiosa e l’immagine più recente di questa folle scommessa è che nonostante il 5 di ottobre l’Opec+ abbia annunciato il taglio di 2 milioni nominali di produzione giornaliera di barili di petrolio, già nella giornata del 14 ottobre le quotazioni del petrolio Wti sono ritornate in area 86 dollari al barile dai circa 94 del 7 di ottobre, e tutto questo per i soliti rumors a Wall Street di una recessione in arrivo, con la Cina che rincara la dose con le politiche del zero Covid.
Queste di cui sopra sono le manine velate del Tesoro statunitense guidato dalla Yellen che cercano con i movimenti speculativi sui future di abbattere il prezzo in dollari del barile di petrolio, mentre al contrario stanno irretendo di nuovo e in maniera ancora più grave il cartello dell’Opec+, il quale a mio parere ha già in serbo a stretto giro l’annunzio di un altro taglio produttivo monstre, in quanto quello che si vuole e si pretende è che il barile Wti di petrolio sia quotato nell’area dei 100-110 dollari al barile
In poche ed efficaci immagini: i dollari sono ritenuti oramai da un gran numero di Paesi importanti e non appartenenti al G7 troppo sopravvalutati, nient’altro che carta oltre una certa soglia, e quindi gli Stati Uniti o hanno le forze per imporre e per far perseverare il regno del dollaro oppure perderanno la partita. Da qui nasce il fenomeno inflattivo all’esterno che entra dentro la nazione e la mette in tensione. Al contrario, l’analisi microeconomica e contabile da dentro gli Usa dell’attuale inflazione ci darà l’immagine di un altro lato di questa complessa faccenda dei nostri giorni.
Appunto, nello scorporare il dato inflattivo nelle sue macrocategorie, si scopre che l’incremento tendenziale dei beni energetici è pari al 23% anno su anno, mentre quello degli alimentari è pari all’11%, e queste sono le due categorie non core, e volatili come nella definizione della Fed; al contrario, le categorie core hanno come per i servizi assicurativi tassi di incremento del 6%, e così via; cioè a dirsi le componenti core dell’indice inflattivo contribuiscono ad abbattere il livello complessivo dello stesso, dove è bene ricordare che se noi facessimo l’inflazione dei soli beni alimentari ed energetici, tale tasso sarebbe pari a un bel 16%, cioè una inflazione severa. Tutti quanti noi abbiamo bisogno di cibo e combustibili, la differenza vera è che tale bisogno e tale spesa non pesano allo stesso modo per tutte le categorie sociali; in sostanza, più sei povero e più l’inflazione delle cose necessarie e indifferibili per sopravvivere diventa tragica.
Si badi però che la Fed dà più importanza all’inflazione core, meno volatile facendo a mio parere dei distinguo che nell’attuale situazione dove siamo sono molto pericolosi e fuorvianti; detto meglio, è evidente che una polizza assicurativa, una prestazione medica, un biglietto dell’autobus, un canone di affitto, il prezzo di un quotidiano non possono stare in variazione continua in quanto i mercati relativi non avrebbero più senso, dato il loro tenore di fondo di essere basati su una certa durata temporale, però, da questa vischiosità di prezzi quasi congenita, all’idea che la loro difficoltà di variazione meglio rappresenta il fenomeno inflattivo come dinamica di fondo, in quanto ci dice che i prezzi vischiosi mutano più rapidamente proprio perché c’è maggiore inflazione in giro, è un’aberrazione delle cose reali, utile in determinate dimensioni macroeconomiche e fuorvioante e pericolosa in altre, come quella attuale.
Si vuole cioè affermare che se negli Usa così come oramai in tutto l’Occidente c’è un’alta inflazione dei prezzi energetici soprattutto è perché essi sono scarsi, mancano e relegarli perciò a componenti volatili è azzardato in un mondo che ne quantifica la scarsezza; scarsezza dovuta a scontri geopolitici tracimati anche in guerra aperta in Ucraina. Le componenti volatili dell’indice inflattivo sono utile distinzione ma comunque aberrata, in un mondo di abbondanza, ma nel mondo che stiamo vivendo oggi possono facilmente divenire soggette a razionamenti a contingentamenti; che poi, l’ironia della sorte è che sono proprio le componenti volatili che hanno dato origine all’intero fenomeno inflattivo, e quindi per assurdo le cause essenziali diventano secondarie.
Alla Fed credo che non abbiano il gusto amaro di questo nuovo mondo, si sentono ancora , anche se con tante incertezze in più, come dentro un castello fatato, dotato di forze benigne in grado di contrastare il pauroso mondo esterno.
Queste sono le mie impressioni.
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