“Il duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là”. Così inizia “I fiori blu”, romanzo a cavallo tra cronaca e storia di Raymond Queneau, un incipit che mi è venuto in mente dopo questi primi mesi di guerra ucraina che assomigliano più a una contesa del passato che al mondo così come l’abbiamo vissuto negli ultimi settant’anni, come se “i resti del passato” fossero riaffiorati dalle tenebre. Così che oggi affacciandoci al nostro torrione dobbiamo prender atto che la situazione è davvero “poco chiara”, priva com’è di sbocchi futuri. 



Molte cose sono avvenute in questi quaranta giorni di conflitto:

È andato in frantumi il mondo globalizzato così com’era emerso all’inizio del nuovo millennio. Non vale più il solo principio della convenienza per valutare un investimento, ma è necessario tener in debito conto la sicurezza e l’affidabilità nel tempo delle forniture nonché la vicinanza, accorciando le catene produttive. Alla logica economicista, quella cui siamo abituati, che cerca di massimizzare la crescita e di evitare turbolenze si contrappone ormai una logica geopolitica che ritiene che questa sia l’ultima occasione per ridimensionare un blocco ostile all’Occidente senza ricorrere a una guerra guerreggiata e limitando i danni (cercando di contenerli) alla sfera economica.



– Accanto al conflitto, più atroce ma più incerto del previsto, tra Mosca e Kiev, sta prendendo sempre più spazio un’altra guerra altrettanto dura: c’è una guerra ben visibile, quella tra Russia e Ucraina, ma c’è anche una guerra meno s p e t t a c o l a r e m a anch’essa molto dura, quella tra gli Stati Uniti e i loro alleati, da una parte, e il blocco russo-cinese, dall’altra. 

– In questa cornice si profila un nuovo sistema monetario, diciamo una terza Bretton Woods. La prima aveva posto nel 1944 le basi di un ordine basato su un gold standard flessibile che consentiva agli Stati Uniti di mantenere un disavanzo permanente delle partite correnti. In pratica gli Stati Uniti, stampando ogni anno più dollari di quelli che la base aurea avrebbe consentito, permettevano a Europa e Giappone di rilanciare le loro economie diventando esportatori netti verso l’America. 



La seconda, coincisa con il decollo della Cina con il consenso di Washington, ha visto Pechino sostituire Europa e Giappone come esportatore netto verso gli Stati Uniti. In cambio dei suoi prodotti, la Cina ha ricevuto negli anni un trilione di dollari di cambiali americane (i titoli del Tesoro) e un altro trilione di titoli comunque denominati in dollari. 

La terza Bretton Woods sta maturando nel conflitto per il controllo delle materie prime: petrolio, gas naturale ma anche soft commodity agricole e, bene spesso trascurato, l’acqua. L’Occidente, che può ancora contare su una sostanziale superiorità tecnologica (e, non meno importante, di governance delle risorse umane). Il nuovo ordine prende corpo con l’avvio della creazione di due sistemi paralleli che rispecchiano la divisione del mercato globale delle materie prime in due blocchi. Nel primo, il nostro, le materie prime trattano a prezzo maggiorato e creano inflazione. Nel secondo la Cina (cui si aggiungerà probabilmente l’India) compra le materie prime russe a forte sconto e mantiene stabili i suoi prezzi. Le materie prime acquistate possono servire alla produzione cinese, ma possono anche essere accumulate in scorte strategiche che vanno a sostituire le riserve valutarie di carta americana.

– La decisione russa di imporre il rublo per le transazioni sul gas va proprio nella direzione di ampliare lo spazio del rublo, con il vantaggio per Mosca di disporre di un mercato più ampio in cui la liquidità in rubli sarà necessariamente fornita dalle banche russe, che riavrebbero così un maggior ruolo nel sistema finanziario che le metterebbe al riparo da ulteriori sanzioni.

– Ma dietro la Russia c’è la potenza cinese, l’unica in grado di creare un blocco valutario in cui la moneta è garantita da materie prime e oro. L’altro blocco, il nostro, non potendo più finanziarsi offrendo cambiali alla Cina, continuerebbe a farlo offrendole alle sue banche centrali, che si finanzierebbero a loro volta stampando moneta.

Non è ovviamente un processo lineare, per far saltare il sistema russo l’Europa dovrà cercare di fare a meno del suo gas, cosa più facile a dirsi che a farsi. Anche perché l’Ovest ha meno alleati di quanto non appaia: l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, ad esempio, hanno risposto picche alla richiesta di produrre di più in alternativa a Mosca.

– Il risultato è che l’inflazione promette di restare più alta in Occidente, costretto a un’abbondante liquidità per pagare l’energia, che non in Cina, peraltro afflitta dal ritorno del Covid e da una congiuntura meno brillante del previsto, forse perché affiorano i primi dubbi sulla sterzata del regime.

– L’aumento dell’inflazione può essere messo sotto controllo negli Usa con una recessione, violenta ma breve, che gli States, autosufficienti o quasi per il petrolio, forti esportatori di gas, possono consentirsi. A differenza dell’Europa che dovrà far fronte a una bolletta energetica in forte salita soprattutto se vorrà, com’è ormai vitale, liberarsi dalla dipendenza dalle energie fossili. 

Partita difficile, ma, come già sapeva il duca d’Auge, la storia prevede un prezzo per tutto.

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