Nell’incontro avuto a Pechino con il Premier Li Qiang, il segretario al Tesoro americano Janet Yellen ha avuto modo di sollevare “questioni preoccupanti, tra cui la sovraccapacità industriale cinese e l’impatto che potrebbe avere sui lavoratori e sulle imprese” degli Stati Uniti e ha evidenziato “l’importanza di lavorare insieme sulle sfide globali, compresa l’emergenza del debito nelle economie a basso reddito ed emergenti”. Le due superpotenze continuano, quindi, a dialogare. Anche perché, come spiega Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «sono legate tra loro, magari controvoglia, da una simbiosi a livello economico di cui né l’una, né l’altra possono fare a meno».



Ci sono, però, più barriere commerciali di un tempo e un minor acquisto di titoli di stato americani da parte cinese…

È vero, ma Pechino resta un importante acquirente dei T-bond, le cui emissioni sono aumentate di molto negli ultimi mesi. Inoltre, nonostante alcune restrizioni introdotte, gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di sbocco per l’export cinese e il gigante asiatico dispone delle terre rare che servono anche a Washington. Non va poi dimenticato che sia Usa che Cina hanno bisogno dei semiconduttori prodotti a Taiwan.



Dunque lo scontro tra queste due superpotenze non è così profondo da compromettere i rapporti economici.

A differenza di ucraini e russi, continuano a vedersi e dialogare, anche se poi magari non vanno d’accordo. Possiamo vedere magari dei sorvoli di caccia cinesi sopra Taiwan o esercitazioni americane nel Pacifico vicino ai confini marittimi cinesi, ma non c’è una vera guerra armata in atto. Pechino, inoltre, è anche capofila dei Brics che potrebbero creare una moneta di riferimento per il Sud del mondo. Gli strumenti per farlo ci sono, ma se questo avvenisse naturalmente avrebbe come conseguenza un’importante perdita di status per il dollaro.



Ha senso questo dialogo con un’Amministrazione uscente che dopo novembre potrebbe non esserci più?

Considerando che di fatto il nuovo Presidente si insedierà soltanto a gennaio, riuscire a chiudere degli accordi prima delle presidenziali significherebbe fare in modo che non possano essere rapidamente ridiscussi. Se, quindi, alla Casa Bianca tornasse Trump, dovrebbe attendere almeno qualche mese per poterli rinegoziare. Credo, quindi, che questi negoziati siano utili sia a Pechino che all’Amministrazione Biden.

Se Cina e Usa raggiungono degli accordi, all’Europa tocca poi sempre subirne le conseguenze?

È così. Tra l’altro l’Europa, a differenza di Usa e Cina, non ha una banca centrale in grado di emettere moneta in via ordinaria. Credo che dopo le elezioni europee aumenteranno i poteri della Bce, altrimenti il rischio è che il progetto di creare un’unità economica europea resti bloccato da una serie di questioni di tipo giuridico, rendendo impossibile finanziare programmi di ripresa e difesa tramite l’emissione di titoli di debito comune acquistati poi dalla Bce.

In Europa si teme anche l’invasione di auto elettriche cinesi. Cosa ne pensa?

È un problema complicato. L’Europa negli scorsi decenni ha conquistato il mercato cinese con auto premium prevalentemente tedesche. Oggi queste vetture, in versione elettrica, hanno costi altissimi per il pubblico, mentre la Cina è in grado di produrle a costi più bassi e a presentarle sul nostro mercato a prezzi ultra competitivi. Cominciano già ad arrivare nei porti europei navi cariche di auto elettriche cinesi e c’è la possibilità che vengano aperti impianti produttivi di marchi cinesi su territorio Ue, evitando così l’imposizione di dazi. Pechino tenta sempre di accordarsi, non cerca lo scontro diretto, ma non dobbiamo dimenticare che il suo obiettivo è far sì che il XXI secolo veda la Cina al centro del mondo. Ragionando sul lungo termine ha la possibilità di riuscirci.

Cosa pensa invece del rialzo del prezzo dell’oro cui si è assistito nelle ultime settimane?

Lo collego al fatto che in Ucraina le cose non stanno andando bene e la prospettiva, in caso di vittoria alle presidenziali di Trump, è quella di una resa di Kiev e di una politica estera americana orientata a una sorta di arroccamento e di ritiro all’interno dei propri confini. Questo ha un effetto anche sul ruolo di valuta internazionale del dollaro e comporta anche una preferenza per il bene rifugio per antonomasia, che è appunto l’oro.

Anche il Bitcoin è salito molto: viene anch’esso considerato un’alternativa al dollaro?

Sì, anche se a differenza dell’oro non si tratta di un bene fisico. Non è un metallo pregiato a cui da sempre è stato attribuito un valore intrinseco.

Questa settimana verrà resa nota l’inflazione di marzo, ma gli ultimi dati macroeconomici provenienti dagli Stati Uniti sembrano rendere più difficile un taglio dei tassi da parte della Fed a giugno…

In effetti, potrebbe non esserci un taglio dei tassi. In ogni caso credo sia importante riflettere sui dati che vengono utilizzati per cercare di capire lo stato di salute di un’economia. Per esempio, negli Stati Uniti il Pil e l’occupazione vanno bene, ma i divari sociali che ci sono dietro questi numeri positivi sono in paurosa crescita. E non è un buon segnale. È vero che lavorano quasi tutti gli americani, ma il potere d’acquisto per i redditi più bassi continua a ridursi e per una famiglia del ceto medio sta diventando più difficile poter pagare gli studi universitari di un figlio. L’instabilità che pensavamo di aver sconfitto a livello macro ritorna a livello micro.

Se non è detto che ci sarà un taglio dei tassi da parte della Fed a giugno, questo varrà anche per la Bce?

Non vedo nessuna certezza su un taglio dei tassi da parte della Bce a giugno. Siamo in un periodo in cui gli scenari economici cambiano molto rapidamente e credo che prima di tagliare i tassi si vorrà attendere l’esito delle elezioni europee. Un conto, infatti, è vedere una continuità rispetto all’attuale maggioranza, con o senza riconferma di Ursula von der Leyen, viste le inchieste che la stanno coinvolgendo. Diverso, invece, sarebbe assistere all’affermazione di forze politiche che hanno una linea diversa, in primis sull’Ucraina. Penso, quindi, che la Bce voglia aspettare.

(Lorenzo Torrisi)

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