Per l’attuale realtà geopolitica le definizioni non mancano. Si è parlato di fine della globalizzazione, di progressiva frammentazione, di grande scollamento, di crescente fragilità, di crisi dell’Occidente e delle democrazie. Una nuova definizione, molto azzeccata, è quella proposta nel rapporto con il titolo Il mondo ha perso la bussola (Guerini e associati, 2024), curato da Mario Deaglio per il Centro Einaudi di Torino con contributi di Giorgio Arfaras, Giuseppina De Santis, Paolo Migliavacca e Giuseppe Russo.



Si tratta del terzo rapporto sul mondo post-globale, promosso da Banca IntesaSanPaolo, rapporto che costituisce un nuovo appuntamento che in pratica prosegue la serie, iniziata negli ultimi anni del secolo scorso, dedicata all’economia globale e all’Italia sempre sotto la guida del Centro Einaudi e di Mario Deaglio. Una ricerca che si è sviluppata anno dopo anno nelle sue più di venti edizioni offrendo un’analisi originale e approfondita dei grandi cambiamenti mondiali. Con un’ottica non solo economica e finanziaria, ma anche con un collegamento continuo, per quanto possibile, tra la realtà globale e la nostra vita quotidiana.



Un obiettivo non facile, soprattutto in un momento come l’attuale in cui prevale l’incertezza, in cui i rischi sono aumentati a dismisura, in cui sembrano perdere progressivamente efficacia le organizzazioni che avevano suscitato grandi speranze per un vero ordine mondiale. Proprio “la rapida obsolescenza e la crescente difficoltà di funzionamento delle istituzioni internazionale e dei sistemi di governo” è un fattore messo al primo posto tra i grandi cambiamenti in atto. Con un elenco che prosegue con la “sempre più rapida concentrazione e redistribuzione del potere economico e geopolitico internazionale”, con la “crescente debolezza sui principi e le norme di comune convivenza internazionale (cfr. Taiwan e Gaza)”, con “i processi in corso per costruire alternative alle regole attuale di geopolitica e di geoeconomia”.



Negli ultimi anni non si è fatto che aggiungere incognite in un mondo sempre contraddistinto dalle incertezze e dalle contrapposizioni. Gli anni della Guerra fredda hanno rappresentato una sostanziale stabilità, ma negli anni ’60 era già iniziato il declino dell’egemonia americana con il ritiro dal Vietnam, proseguito con la guerra in Iraq e con l’abbandono dell’Afghanistan. Non c’è più il mondo unipolare, ma non c’è ancora un ordine multipolare in cui tuttavia la Cina si candida a un ruolo sicuramente rilevante e in cui i tradizionali Paesi emergenti stanno conseguendo importanti risultati sul fronte della crescita economia.

In questa realtà complessa l’economia italiana si muove risentendo di difficili condizioni di scenario ormai strutturali: dall’alto debito pubblico al declino demografico, dall’inefficienza della Pubblica amministrazione alle difficoltà sul fronte dell’innovazione. Non mancano, tuttavia, i dati positivi soprattutto sul fronte dell’industria e dei servizi, così come delle medie e grandi imprese operative sul fronte internazionale. C’è una filiera agricoltura-industria alimentare-turismo-cultura-ricerca scientifica che mostra un significativo dinamismo e una forte capacità di sfruttare collegamenti virtuosi e sinergie operative. Così come non mancano posizioni di leadership nei settori della meccanica, della chimica, del terziario informatico.

Anche per l’Italia, comunque, il futuro è tutto da costruire. E in questa prospettiva la dimensione europea appare fondamentale. In questo regno dell’incertezza da soli non si va da nessuna parte.

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