La crescita dell’economia italiana dipende dal tiraggio della domanda globale del suo export perché quella del mercato interno è in tendenza stagnante, costringendola a internazionalizzarsi in modo più intenso ed esteso di altre nazioni per poter avere una speranza di sviluppo. Infatti, le imprese che vanno bene hanno fatto questo, con numeri che hanno aumentato il contributo dell’export al Pil nazionale da circa il 20% di dieci anni fa a quasi il 40% (calcolando l’indotto con metodo sistemico e non solo statistico standard). E ciò ha bilanciato la crisi di inefficienza interna, ma producendo una risultante di stagnazione complessiva come media tra Italia arretrata e avanzata.
La giusta strategia sarebbe potenziare la parte già forte affinché traini quella debole, ma l’attuale tendenza politica, invece, è opposta: assistere i deboli togliendo risorse ai forti. Ciò aumenta la dipendenza dell’Italia dall’esterno e la necessità di una politica estera adeguata.
Gli scenari correnti indicano come probabile una preoccupante contrazione della domanda globale, e degli affari dei Paesi esportatori, per esempio già visibile nell’economia tedesca e in quella, notevolmente correlata, italiana. Ma dati recentissimi mostrano che la Cina, alle prese con una devastante crisi bancaria, sta riuscendo a evitare l’implosione anche grazie ai metodi forzosi tipici di un regime autoritario. La guerra commerciale tra America e Cina sembra in riduzione.
La crescita del Pil statunitense nel primo trimestre ha superato il 3% contro previsioni che la davano sotto il 2%. Da un lato, potrebbe essere solo un episodio. Dall’altro mostra che l’America resterà una locomotiva globale forte. In sintesi, è probabile che il tiraggio globale fornito da America e Cina resterà robusto.
Bene, ma l’effetto benefico sull’Italia dipenderà dalla sua politica estera-commerciale. L’Italia dovrebbe convergere più con l’Ue per definire accordi commerciali con America e Cina come parte di un gruppo forte con maggiore potere negoziale. Ma il governo Conte sta tentando una relazione bilaterale con la Cina che irrita sia l’America che l’Ue e prendendo altre posizioni che rendono ambigua la collocazione internazionale l’Italia. Poiché il vantaggio nei negoziati commerciali richiede la partecipazione a un gruppo con grande forza politica/economica, rendendo perdenti le acrobazie solo nazionali, sembra urgente richiamare Roma affinché rientri con chiarezza nell’Ue e nell’Occidente.