La borsa valori più grande del mondo è Wall Street. Non solo è la più grande, ma è gigantesca anche rispetto alla seconda che è da ricercare tra Tokyo e Londra. Wall Street si dice che capitalizzi circa 145.000 miliardi di dollari delle sue aziende quotate ai diversi mercati di cui è composta, i cui principali sono il Nyse, il Nasdaq e il Comex. Tanto per dare un ordine di grandezza, la borsa valori di Milano che è probabilmente la nona borsa del mondo, capitalizza circa 500 miliardi dollari.
Il raffronto è indubbiamente incredibile, ma ancora più incredibile è la capitalizzazione assoluta di Wall Street che nei valori riportati prima supera abbondantemente la somma di tutti i Pil mondiali al netto di duplicazioni (cioè con la sterilizzazione dei movimenti doppi di import export); tale somma è nell’ordine dei 90.000 miliardi di dollari, dove per circa 45.000 miliardi è dovuta al Pil dei Paesi del G7.
Se ai dati di Wall Street aggiungiamo il debito pubblico Usa pari a 33.000 miliardi di dollari, la base monetaria pari a circa 8.500 miliardi e l’aggregato M3 (l’aggregato monetario più ampio) pari a 24.000 miliardi, la quale somma ha stanza principale nei passivi delle banche e dei fondi di vario tipo, si reprime a stento un senso di smarrimento; da ultima la posizione netta debitoria sull’estero pari a16.500 miliardi.
Invece, il Pil a stelle e strisce da solo vale circa 24.000 miliardi, il tutto organizzato su di una forza lavoro che oscilla tra i 150 e i 160 milioni di occupati; va poi considerato che c’è un tasso di non partecipazione al mercato del lavoro inquadrabile intorno al 30% della popolazione lavorativa; in altre parole, circa 50 milioni di statunitensi validi al lavoro semplicemente non partecipano a nulla della produzione in chiaro della nazione; sicuramente ci sono molti clandestini, ma in generale il dato impatta sulle categorie più fragili degli Usa – poveri, di colore, donne e con poca istruzione. Anche il dato collegato all’età è una mannaia, perché superati i 40 anni all’80%, tranne le occupazioni nel settore ristorazione e bar come personale generico e poco altro la gente, non trova sbocchi; resta il mercato agricolo ancora più fragile e impegnativo.
Come ogni nazione poi con alti debiti pubblici, la domanda di consumi interni è sempre molto alta e pari a un intorno del 70%, dato questo che fa a dire a molti giustamente ma anche con un po’ di superficialità, che il Pil dipende dai consumi interni; per due o tre anni è possibile, ma poi senza investimenti e risparmi si fa poco.
In effetti, l’altro 30% circa del Pil è dato dalla spesa pubblica in beni e servizi collettivi (quindi, non i beni e servizi al consumo privati) e per l’ultima frazione del 15% da risparmi interni; gli investimenti complessivi netti invece sono più alti dei risparmi interni in quanto vengono finanziati dai movimenti di capitali esteri che sono quelli che poi portano, o meglio sono generati, dal deficit della bilancia commerciale; in sostanza, per sostenere e far crescere la loro economia gli Usa si indebitano all’esterno, e il dato prima riportato dei 16.500 miliardi di dollari di posizione netta passiva estera ce lo ricorda in modo forte.
D’altra parte, al momento noi abbiamo che i tassi sui Federal funds sono pari al 5-5,25%, la crescita acquisita del 1° trimestre del 2% e l’inflazione media annua tendenziale del 1° trimestre pari al 5,5%; i tassi decennali dei Treasury a 10 anni, la proxy della struttura obbligazionistica più robusta per analizzare i tassi reali, è al 4% al lordo di tassazioni; quindi. i rendimenti ancora non recuperano l’inflazione, in quanto c’è una forte domanda di Treasury a 10 anni. Chi è responsabile di questo livello di domanda ? La risposta è immediata è la Fed.
Nel bilancio della banca centrale vanno i titoli del debito pubblico, e la liquidità concessa alle banche va a Wall Street che viene iper.capitalizzata; siamo tornati cioè al dato di partenza, dove vediamo che i 145.000 miliardi di capitalizzazione sono in effetti gonfiati da questo aiuto finanziario; la riprova la si ha nel fatto riportato prima, e cioè che la capitalizzazione di Wall Street è superiore alla somma di tutti i Pil netti mondiali.
La prima domanda che sorge abbastanza spontanea è la seguente: perché, dunque, altri Paesi non intraprendono questa strada di iper gonfiare i valori azionari dei propri mercati borsistici, tenendo così tonici i corsi, e il sentimenti di azionisti e manager? Semplice: solo gli Usa stampano i dollari che sono cercati da tutti – almeno finora – come una materia prima, e in particolare quella più preziosa dell’attuale finanza internazionale.
La nazione ha il Pil più grande e pregiato del mondo e lo abbiamo indicato prima, ma al tempo stesso ha oramai livelli di indebitamento che danno preoccupazione agli investitori di mezzo mondo; non solo, ora ci sono messe anche le contese tra Stati e nebulosi e perigliosi progetti di transizione green.
Noi siamo vittima oggigiorno di molte informazioni verosimiglianti ma non vere, e l’opinione pubblica non può decidere in mondo consapevole in quanto non esperta dei singoli problemi da specialisti; a me preme solo ricordare che lo strombazzato Ippc dell’Onu sul climate change è un consesso di scienziati e politici tutti rispondenti a precise idee guide politiche, e quindi il vero mondo accademico è molto più frastagliato, attraversato dai dubbi scientifici e soprattutto dalla ricerca vera sull’esistenza o meno del cambiamento climatico di tipo antropico; cosa comunque già assodata per non vera nei suoi fattori causativi; in poche parole, gli scienziati sono concentrati sulla velocità dei cambiamenti, non sul fattore scatenante (oggi ritenuto al 95% l’attivismo della superficie del sole). Tutto questo per sottolineare che negli Usa attualmente è come se si cercasse di usare una gigantesca leva a debito per essere i primi a varcare a livello produttivo e organizzativo un nuovo mondo, e cioè quello green, dato che il tradizionale mondo degli idrocarburi li sta dissanguando, li sta cioè portando alla fine.
Da questo punto di vista una gigantesca operazione di un rinnovato e gigantesco sforzo finanziario dovrebbe andare a sostenere i nuovi imprenditori delle nuove energie che negli Usa avrebbero il proprio terreno di elezione; pensiamo ad Apple, alla Tesla, alla IA, alla fusione fredda, al nuovo ruolo dell’idrogeno verde.
In successivi interventi si cercherà di focalizzare volta per volta, le problematiche importanti che questo scenario complesso ci mostra abbozzate.
giovanniricci669@gmail.com
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