Negli ultimi giorni l’Unione europea ha, da un lato, ritardato l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, dell’accordo sugli investimenti con la Cina che era stato concluso alla fine del 2020 e, dall’altro, presentato una bozza di legge sull’attività e gli investimenti delle società non europee nell’Unione. Secondo il provvedimento, le autorità europee avrebbero il potere di bloccare le acquisizioni di società non europee se si ritiene che abbiano ricevuto aiuti di Stato. Anche se i provvedimenti sono rivolti a tutti indistintamente, la novità è stata unanimemente letta in senso “anti-cinese” con le società del Paese asiatico spesso accusate di competere scorrettamente sui mercati internazionali grazie agli aiuti statali.
La mossa dell’Unione europea sarebbe stata impensabile solo qualche anno fa e segna un cambio di strategia in senso protezionistico. La Cina è il principale partner commerciale europeo, contando sia le esportazioni che le importazioni, e le conseguenze di un nuovo rapporto con il gigante asiatico sono gravi. Il nuovo approccio si inserisce in uno scenario più ampio in cui anche gli Stati Uniti stanno cercando di diluire i rapporti economici e industriali con la Cina. La differenza con l’alleato americano è che l’Europa spera di poter salvare il rapporto “obbligando” la Cina a rispettare le regole. La ragione è semplice: l’economia europea e soprattutto quella tedesca, con a rimorchio buona parte del nord Italia, sono infinitamente più dipendenti dalla crescita cinese di quanto non lo siano gli Stati Uniti. La guerra commerciale o fredda per questo è molto più sfidante per il sistema economico e politico europeo di quanto non lo sia per gli Stati Uniti.
L’Unione europea ha “prosperato”, più o meno, in un mondo senza barriere commerciali e basato sul libero commercio e nelle fasi di crisi degli ultimi quindici anni ha scelto di sacrificare parte del mercato interno per potere continuare a esportare. La responsabilità fiscale dell’Unione europea e in particolare della Germania non ha portato a una rivalutazione del cambio tenuto artificialmente basso grazie a un mix di politiche monetarie che andavano bene a tutti, anche ai tedeschi, e di “austerity” nella periferia.
Nel nuovo mondo post Brexit, con crescenti tensioni commerciali e politiche con Russia e Cina, l’Europa si trova molto male. L’Unione europea non è attrezzata per essere sovranista in un mondo in cui non si può essere altro che “sovranisti”. Basti pensare alla crisi dei microchip che gli Stati Uniti provano a risolvere sia con relazioni molto più efficaci con Taiwan, sia coordinando la politica industriale in un modo che l’Europa non potrà mai fare per i suoi difetti di costruzione e ancora di più per le agende divergenti che i Paesi membri hanno in politica estera.
La dipendenza dalle esportazioni, quella energetica e una costruzione ben lungi dall’essere completa oggi rendono l’Unione europea il soggetto più fragile nello scenario internazionale. A fronteggiare la Royal Navy, per usare un esempio rozzo ma efficace, non c’è una flotta europea. Il problema è che lo scenario è evoluto ed evolve molto più velocemente di quanto chiunque pensasse e molto più velocemente di qualsiasi processo di riforma europeo; sempre ammesso che Francia, Germania e il resto della corte possano mai trovare un accordo politico. L’Europa può litigare con la Russia e bloccare il Nord Stream 2, ma a un prezzo economico enorme semplicemente perché non è attrezzata per un gioco di questo tipo. I rapporti con la Turchia e l’epilogo libico testimoniano la debolezza strutturale europea.
Alla luce di quello che sta accadendo bisognerebbe non solo rileggere la storia dei rapporti dell’Italia con le società e i partner “europei”, ma anche la conduzione dell’Europa degli ultimi 20 anni. È stata la massimizzazione e lo sfruttamento fino all’ultima goccia dello status quo senza un minimo di visione e nessuna capacità di cogliere quello che stava per accadere. La Brexit in questo senso, che doveva consegnarci orde di sudditi di sua maestà ridotti alla fame, è solo l’esempio finale dell’incapacità di leggere gli eventi. Mentre la cronaca ancora esalta i protagonisti degli ultimi vent’anni dell'”integrazione” la storia non sarà tenera perché l’Europa semplicemente, anche volendo, si presenta alla partita che conta senza avere i mezzi per reggere a partire da quelli “istituzionali”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI