Secondo un articolo pubblicato su Spiegel International qualche giorno fa, “il Governo tedesco crede che l’escalation delle tensioni tra Cina e Stati Uniti arrivino dal Presidente e dall’amministrazione americana e non da quella cinese”. Due giorni fa Angela Merkel in una conversazione telefonica con il premier cinese Li Keqiang ha chiesto che la Cina sia più aperta agli investimenti esteri e nelle ultime settimane, l’Europa, con in testa la Germania, ha usato toni molto soft nei confronti di quanto sta accadendo a Hong Kong. La Germania evidentemente pensa di poter esercitare efficacemente pressioni sul Governo cinese nonostante gli Stati Uniti abbiano ritenuto che non sia possibile ottenere questi risultati con le “buone” decidendo di passare alle maniere forti della guerra commerciale.



Le tensioni tra Stati Uniti e Cina stanno modificando in via strutturale non solo i commerci globali, ma anche le catene di produzione con un numero crescente di imprese americane che decidono di tagliare i legami con la Cina e far rientrare la produzione. Queste tensioni sono una minaccia esistenziale per l’Unione europea sia perché ha basato il proprio modello economico sulle esportazioni e una valuta artificialmente bassa, soprattutto per le imprese tedesche che giocano nella competizione globale non con il marco che si meriterebbero, sia per il rifiuto di spendere una parte sufficiente del Pil in difesa facendo la propria parte nella Nato.



Il modello europeo è potuto esistere grazie a un contesto che sta scomparendo e che include il privilegio concesso dagli Stati Uniti di perpetuare un deficit commerciale di 150 miliardi di euro all’anno verso l’Ue, di cui quasi la metà della sola Germania. Gli Stati Uniti hanno iniziato un processo lungo e doloroso di riduzione del deficit commerciale con la Cina che non è più pensabile concedere a un rivale. Il presidente della Fed ieri spiegava che “gli sconvolgimenti nei commerci globali potrebbero portare a una costosa riconfigurazione delle catene di fornitura”. Significa che in America si sa perfettamente cosa stia avvenendo e quali siano i costi che la Fed deve coprire per la “riconfigurazione delle catene di fornitura”.



La pretesa dell’Unione europea di essere un attore terzo è ridicola per tanti motivi. Uno è un modello basato sulle esportazioni che la rende estremamente ricattabile, un altro è l’assenza di un esercito europeo. Due difetti che si manifestano oltre ogni dubbio nell’incapacità dell’Unione europea di farsi carico persino delle instabilità nel Mediterraneo. Qualsiasi cosa sia successa nel processo di integrazione europea oggi è troppo tardi per rimediare visto come si sta mettendo tra Cina e Stati Uniti. I problemi non sono però solo politici, ma, incredibilmente, economici. La Germania idolatrata a queste latitudini non ha più molto da insegnare ai cinesi che ormai sanno fare tutto quello che fanno i tedeschi e molto altro. Alla Cina interessa il mercato europeo come sbocco delle proprie esportazioni e non certo come patrimonio tecnologico. In questo senso gli europei avrebbero molta più leva sugli americani se solo capissero i termini della questione. La Cina, ripetiamo, non ha bisogno dell’industria europea, ma l’America oggi sì. Tra cinque o dieci anni anche l’America potrà fare a meno della Cina.

La Germania e tutti quelli che la seguono si stanno infilando in un vicolo cieco, politico ed economico, da cui non verrà niente di buono né politicamente, né economicamente. Non stiamo parlando dei prossimi due trimestri, ma dei prossimi dieci anni. La Germania, con una miopia assoluta, si è consegnata e si sta consegnando mani e piedi alla Cina che nella relazione ha tutte le leve negoziali. Il deficit commerciale europeo verso la Cina non potrà che aumentare e con esso la ricattabilità delle imprese europee e tedesche.

La Germania, ci spiega Spiegel, capisce benissimo che deve fare una scelta e pensa, scegliendo la Cina, di fare quella meno dolorosa magari convinta che a novembre le lancette della storia possano tornare indietro. Se questo è lo scenario, e sinceramente le tessere del puzzle formano ormai un disegno chiaro, è meglio per noi e per il nostro sistema industriale non seguirla su questa strada folle di un’alleanza con un regime su cui non saremo mai in grado di fare alcuna pressione per manifesta inferiorità economica e militare. Sganciarsi da questa traiettoria ha ovviamente un costo ingente, ma certamente meno salato di quello che pagheremo alla fine quando ci accorgeremo di aver perso tutto, a iniziare da una leadership tecnologica che non c’è più, per metterci nelle mani di un regime da cui non possiamo difenderci.

L’Europa a guida tedesca è arrivata al capolinea e la Germania pensa di poter fregare la Cina come ha fregato gli americani. Nella realtà dei fatti non può più fregare i secondi e si è fatta fregare dai cinesi. Il redde rationem è molto più vicino di quanto si pensi. Il costo chiesto dagli americani non sarà mai tanto salato quanto quello chiesto dai cinesi come ci insegna l’epilogo di Hong Kong. Ancora una volta i tedeschi mostrano un’incredibile miopia strategica. Ai nostri fini si può sperare che l’incantesimo che subiamo tutte le volte che si parla di Germania si rompa prima del baratro. Quello che abbiamo guadagnato dall’Europa lo vediamo in Libia oggi. Non siamo noi che abbiamo iniziato il caos, ma l’Europa non ci ha neanche messo il naso.