Settima prossima il Segretario di Stato americano Pompeo sarà in Italia; al centro degli incontri ci saranno anche le relazioni che l’Italia intrattiene con la Cina con alcuni dossier, pensiamo al 5G, particolarmente scottanti. Tra i tanti aspetti che varrebbe la pena analizzare ci sembra che uno sia stato immeritatamente trascurato. La questione, come ci ricordava qualche giorno fa un lungo dossier del Wall Street Journal, è che la Cina non è più “un partner per la crescita tedesca ma un concorrente”. Le esportazioni tedesche a luglio erano in calo dell’11% rispetto al 2019 mentre quelle cinesi in crescita.



Quello che sta accadendo è duplice: non solo le aziende tedesche non riescono più a esportare in Cina come accadeva negli ultimi anni, ma quelle stesse aziende trovano concorrenti cinesi quando competono sui mercati internazionali. Lo stesso problema si pone, ovviamente, per moltissime imprese italiane, soprattutto nel nord Italia con ulteriori problemi.



Per due decenni la crescita cinese ha fatto la fortuna dell’economia tedesca perché le imprese avevano bisogno di componentistica, robot e tantissime altre componenti che hanno permesso al dragone di diventare la fabbrica del mondo. Oggi le aziende cinesi competono molto efficacemente, con costi insostenibili per le aziende europee, anche sull’alto di gamma. Il vantaggio tecnologico tedesco si è ridotto moltissimo e in alcuni settori si è annullato. Il sistema Paese cinese ha investito di più, meglio e con maggiore lungimiranza di quello tedesco. La supremazia tecnologica sul 5G è solo la parte più visibile di un problema che oggi è molto più ampio.



Significa che l’Europa non potrà uscire da questa crisi, come nel 2008 e nel 2012, con esportazioni e cambio svalutato. Se anche per magia la guerra commerciale finisse, improbabile, rimarrebbe un problema di competitività strutturale. Le scelte che l’area euro ha fatto nel 2008 e nel 2012, sacrificare il mercato interno per avere deflazione interna e cambio artificialmente basso, hanno risposto alla “strategia” di esportare come unica soluzione.

La storia, sospettiamo, non sarà particolarmente tenera con chi ha condotto l’Europa negli ultimi dieci anni perché si è prodotto un suicidio economico e industriale prima che politico. L’Europa oggi dovrebbe recuperare in fretta sia in termini di coesione, sia in termini di partner strategici. L’America, per la cronaca, ha dichiarato in tutte le salse da anni di voler recuperare “know-how” manifatturiero proprio per reggere la sfida cinese. I proclami non sono rimasti lettere morta e i “dazi” sono solo l’esempio più eclatante. Per l’Italia è peggio perché la sua competitività “burocratica” ed “energetica” è certamente peggiore di quella tedesca. Caricare il sistema industriale di costi per inseguire il sogno del green new deal con tecnologie che sono ancora molto immature è pericolosissimo.

Non saranno le esportazioni in Cina a salvare l’economia europea e tanto meno quella italiana a meno che non si parli di salami e prosecco: nobilissime produzioni ma un po’ troppo poco per mantenere 60 milioni di persone con livelli da Paese del primo mondo. La gestione tedesca è stata miope e sconsiderata; nella politica tedesca si sta facendo strada la consapevolezza dell’errore che oggi rischia di essere pagato caro sia in termine economici che geopolitici. Il rischio è che la dipendenza dalla crescita cinese diventi un abbraccio mortale. La consapevolezza in Italia invece è inesistente. Ed è molto preoccupante non solo per il pericolo di rovinare le relazioni con lo storico partner americano, ma anche per quello di trasformare l’Italia in un “paria” europeo che agisce come cavallo di troia per interessi che non sono più, semplicemente, anti-americani ma anche anti-europei.

Non sappiamo se e quando la politica tedesca possa cambiare idea, ma i dati sono inequivocabili già da qualche trimestre. La Cina non ha più bisogno dell’industria tedesca, ma è un suo, pericoloso, concorrente. L’Europa rischia di venir risucchiata, e non sarebbe bene, oppure se reagisce rischia di percepire l’Italia come una minaccia insieme agli americani che, palesemente, hanno smesso di fidarsi. A chi giovano le relazioni pericolose con la Cina? Non all’Italia e non all’Europa. La Germania, di solito, è l’ultima ad accorgersi degli errori strategici; non dovremmo però essere molto lontani da questa consapevolezza.