Le tensioni tra Cina e Usa aumentano con ripercussioni che eccedono di gran lunga i dazi e arrivano a influenzare la politica medio-orientale e la sua cronaca di questi giorni. Non è chiaro, sicuramente a noi, dove si possa fermare questo confronto, con quale accordo o disaccordo e chi tra i due litiganti avrà la forza di resistere alle ripercussioni interne di queste tensioni. L’ossessione di Trump per la borsa e la Fed è legata alla “trade war” con la Cina che sarebbe più difficile da “vendere” in casa se avesse come conseguenza il crollo della borsa in cui gli americani, molto più che gli europei, mettono i loro risparmi. Lo stesso vale per la Cina, che rifiutando la prima offerta americana, sostanzialmente inaccettabile, paga in casa le conseguenze di queste tensioni ed è “costretta” a stimoli fiscali che in circostanze normali probabilmente non avrebbe usato.



Il grande assente in questo dibattito è l’Europa. Gli eventi potrebbero evolvere in una direzione in cui bisogna scegliere con chi stare o, almeno, accontentare una delle due parti in una o più questioni fondamentali. I temi non mancano dallo strategico 5G fino alla spesa per la difesa passando per le decisioni “geopolitiche”. Queste tensioni coinvolgono l’Europa in due modi. Il primo, più facile, è quello di generare un contesto esterno più sfidante che minaccia una costruzione che ha oggettivi difetti di governance. Il secondo è quello di aprire frizioni tra i Paesi membri che nel confronto Usa-Cina hanno priorità e preferenze diverse.



Ci riferiamo, in particolare, al modello economico europeo basato sulle esportazioni che ha volutamente deciso di sacrificare il mercato interno. È un modello che ha bisogno di un contesto internazionale stabile e aperto, ma che evidentemente va in crisi quando “il mercato globale” si chiude o declina. Subire questo processo per l’Europa significa essere obbligata a scegliere una delle due parti e rischiare di perdere pezzi nel processo perché, per esempio, l’Ungheria sceglie l’America e la Francia la Cina. È altrettanto possibile che in questo movimento di faglia qualcuno si ritrovi da una parte che non voleva; potrebbe essere il caso dell’Italia dato che, con l’euro, dipende finanziariamente dall’Europa e da chi la conduce.



L’altra opzione è che l’Europa diventi simile a Stati Uniti e Cina, con una maggiore integrazione e i suoi campioni nazionali. In questo caso, di certo oggi molto futuribile, l’Europa avrebbe modo di rapportarsi più alla pari con le due superpotenze. Si tratta, ovviamente, di cambiare radicalmente la governance europea incluso il suo modello economico e forse anche di offrire ai partner a cui l’Europa va più stretta o che oggi ne sono, in un certo senso, imprigionati, condizioni migliori per rafforzare la coesione interna. Un’evoluzione che può avvenire solo a patto che chi guida l’Europa cambi radicalmente le politiche viste negli ultimi dieci anni. Sempre ammesso che il confronto tra Cina e Usa avvenga con tempi e ritmi compatibili con questa evoluzione.