Chi l’avrebbe detto solo sei mesi fa che decine di milioni di lavoratori europei per vivere dovessero dipendere dal sostegno erogato dalle strutture pubbliche? O che sette lavoratori americani su dieci, in forzato riposo per la pandemia, guadagnassero di più grazie al contributo del Tesoro rispetto alla paga percepita prima della pandemia? Sono due esempi citati da The Economist per spiegare i profondi cambiamenti che la pandemia ha già provocato nell’economia, in attesa che le scosse telluriche alle strutture esistenti non si traducano in nuovi assetti.
È una rivoluzione geologica appena iniziata e di cui nessuno conosce i possibili sbocchi, ma che potrebbe riservare alcune belle sorprese. Una è senz’altro da collegare al Recovery fund che potrebbe rappresentare per l’Europa un “Hamilton moment”, così definito in memoria di quella riforma che, anno 1790, Alexander Hamilton primo Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, riuscì a far approvare ai Padri Costituenti stabilendo che il Governo federale si facesse carico del debito incorso dai singoli Stati durante la Guerra civile americana in cambio di maggiore potere di determinazione della tassazione. Si posero così, 230 anni fa, le basi per la fondazione di un governo centrale forte negli Stati Uniti capace di garantire la solidità della moneta e della democrazia americana.
Andrà così anche in Europa? Speriamo, senza dimenticare che la democrazia americana ha comunque affrontato prove terribili, a partire dalla Guerra di secessione e le molte fratture razziali del Paese. Ma diamo fiato alla speranza: l’Europa è ben lontana dalla mutualizzazione del debito, ma, dopo le decisioni di Bruxelles, gli eurobond, gratificati dal rating AAA, sono avviati a diventare il quarto debito pubblico per dimensioni dell’Eurozona, novità che cambierà i comportamenti degli attori finanziari.
Assai meno virtuosa è la frattura tra Usa e Cina, segnale esplicito della crisi definitiva della globalizzazione così come l’abbiamo vissuta nei primi vent’anni del secolo, per lasciare spazio a nuovi equilibri già indicati dalla battaglia contro il Covid-19 e dalle rivalità emerse tra le super-potenze nella corsa al vaccino, il santo Graal della sfida per la supremazia globale.
La decisione cinese di rispondere alla chiusura del consolato del Celeste Impero a Houston con un analogo provvedimento a Chengdu sta a indicare, secondo i sinologi, una reazione mirata: Xi Jinping ha evitato di colpire sedi più importanti, come Shanghai, Guangzhou o Hong Kong. Ma Chengdu, la sede più vicina al Tibet, ha comunque un significato speciale: la Cina non ammetterà alcuna interferenza nella sua sfera di competenza, in terra come in mare. Nel frattempo la Banca centrale di Pechino ha deciso di mantenere i tassi al 3,85% mentre il Paese tornerà a investire nella produzione di carbone per mantenere il riconquistato surplus delle partite correnti, particolarmente prezioso in vista di un confronto con il nemico di Washington.
La strategia prevede di sostenere la quotazione del renminbi e di accumulare oro per sostenere le riserve. L’obiettivo è di fare della valuta il perno di un’area valutaria asiatica, come dimostrano i finanziamenti al Vietnam che tanto spaventano gli Usa. Ma soprattutto mettere l’esperienza e la forza della piazza finanziaria di Hong Kong al servizio del progetto di fare del renminbi una valuta nella quale il mondo potrà indebitarsi come oggi si fa con il dollaro. Sembra impossibile, ma ricordate quante cose possono cambiare il soli sei mesi.