Ora possiamo stare più tranquilli: George Soros ha preso carta e penna e scritto a Mario Draghi per spronarlo a una maggiore incisività nel negoziato europeo sul bando al gas russo. Insomma, echi di un 1992 che sembra non voler passare. Déjà vu. Così, tanto per delineare meglio traiettorie e referenti di quanto sta accadendo. Perché temo che, tanto per cambiare, si stia ragionando come se il momento attuale sia uno dei tanti cicli di crisi che il post-Lehman ha generato. 



Non è così: silenziosamente, siamo di fronte a una sorta di deriva dei continenti degli equilibri globali. E, nemmeno a dirlo, l’Italia sta danzando allegra e inconsapevole nel cratere di un vulcano. A partire dalla pantomima sul presunto piano di pace del Governo per l’Ucraina, bocciato a priori da Ue e Kiev e divenuto oggetto di un imbarazzante e umiliante tiro al bersaglio della nostra diplomazia da parte di Mosca. La quale, prima avrebbe fatto filtrare interessamento, poi con l’ex Presidente Medvedev lo ha stroncato impietosamente – adombrando anche la natura politico-mediatica della manina che lo avrebbe scritto, totalmente avulsa da origini diplomatiche ufficiali – e infine con il portavoce del Cremlino ha letteralmente preso la credibilità della Farnesina e l’ha gettata in un trita-documenti: Attendiamo di ricevere il documento per vie diplomatiche ufficiali. Della serie, nemmeno è arrivato nelle mani di chi dovrebbe riceverlo a Mosca. 



Non a caso, in fretta e furia il ministro Di Maio ha ridimensionato la portata del testo, passato da capolavoro diplomatico di cui La Repubblica era fiera anticipatrice delle linee guida a lavoro embrionale che necessita ancora di tempo. Tradotto, siamo dei mitomani. Peccato che l’argomento che riguarda questo nostro disturbo del comportamento politico sia una guerra a poche migliaia di chilometri da casa. Servirebbero serietà e canali ufficiali e credibili, invece facciamo circolare pezzi di carta a mezzo stampa. Probabilmente frutto dell’eccessivo protagonismo e collateralismo con il Governo di qualche analista in servizio permanente e attivo nei talk-show con l’elmetto che si alternano su tutte le reti televisive. E, forse, qualche giornalista embedded. Dopo l’umiliazione del Cermis e dei casi Calipari e Ocalan, probabilmente il punto più basso della nostra – un tempo straordinaria – scuola diplomatica. Dilettanti allo sbaraglio. 



Meno male che ora l’agenda con il crono-programma preciso del nostro suicidio energetico ce la detterà George Soros. Eppure, il fatto che un uomo certamente non tacciabile di simpatie putiniane come Henry Kissinger abbia letteralmente distrutto l’impostazione politica della Casa Bianca in un contesto come quello di Davos dovrebbe farci riflettere. E l’ex Segretario di Stato non ha detto soltanto e chiaramente che l’Ucraina sarebbe il caso che la smettesse di alzare l’asticella di un salto che non può compiere, bensì anche stroncato sul nascere le velleità belliciste – a loro volta già smentite da un entourage della Casa Bianca ormai in versione badante – di Joe Biden su Taiwan e sui rapporti con la Cina. 

Perché signori, in questo breve articolo vi invito a ragionare su un unico punto: la vulgata generale vuole che Vladimir Putin si sia suicidato politicamente con la sua mossa, poiché ha spinto Paesi storicamente neutrali come Svezia e Finlandia nelle braccia della Nato, di fatto ottenendo l’effetto contrario a livello di deterrenza sui confini russi. Proprio sicuri? Perché nella giornata di martedì, quella del giallo riguardo il piano di pace italiano, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha annunciato un rafforzamento strutturale senza precedenti della partnership fra il suo Paese e la Cina. E tanto per chiarire la questione, mentre Joe Biden pettinava un po’ la propria mitomania, sventolando un inutile accordo anti-aggressione in seno al Quad (Usa, Australia, Giappone e India), aerei cinesi e russi hanno dato vita a un pattugliamento congiunto durato 13 ore sui mari del Giappone e della Cina orientale. E che ha coinvolto bombardieri strategici a capacità nucleare russi Tu-95MS e cinesi Xian H-6. 

Per il ministero giapponese della Difesa si è trattato di una provocazione più grave che in passato. Poiché mentre la comunità internazionale risponde all’aggressione della Russia contro l’Ucraina, il fatto che la Cina abbia intrapreso tale azione proprio accanto alla Russia, che è l’aggressore, è motivo di preoccupazione. Il tutto mentre il mondo comincia a fare i conti, realmente, con una crisi alimentare che rischia di tramutarsi nella fase due di ampliamento globale del conflitto a Est, una volta che si sia raggiunto un accordo fra Mosca e Kiev, quantomeno per un cessate il fuoco.

E chi ha permesso il passaggio del primo convoglio di grano ucraino verso la Lituania? Di fatto, la mediazione cinese per la creazione di corridoi verdi – per questo tacitamente accettata dalla Russia – che cerchino di tamponare il devastante fall-out del blocco dei porti ucraini. 

Siamo proprio sicuri che la guerra stia andando così male alla Russia? Siamo proprio certi che la scelta di Svezia e Finlandia, al netto dell’incognita del veto turco sulla loro adesione alla Nato, sia rivendicabile come successo storico dell’Occidente, a fronte di un patto Cina-Russia che ormai appare d’acciaio? Anche e soprattutto a livello militare. 

Riflettete. Perché le scelte che si compiono oggi avranno conseguenze per decenni interi. E modalità e protagonisti della nostra diplomazia, a oggi, non depongono a favore di un futuro rassicurante. Anzi. 

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