Il prezzo del petrolio giovedì ha registrato un rialzo notevole anche se da livelli ipercompressi. Il balzo è arrivato dopo un tweet del Presidente degli Stati Uniti in cui si diceva ottimista sul raggiungimento di un accordo tra Russia e Opec. Il prezzo del petrolio è sceso prima che la diffusione del coronavirus e delle misure di lockdown rendessero evidente l’impatto sull’economia e sulla domanda di petrolio. Il petrolio è molto di più di una materia prima per le enormi implicazioni che ha sia sui mercati finanziari che sui rapporti tra Stati. Il crollo del greggio così si è aggiunto allo shock sull’economia del coronavirus peggiorando tutto.



L’accordo annunciato da Trump al momento è solo una lista dei desideri. La questione è abbastanza semplice. Gli altri produttori di petrolio, quelli non americani, non hanno alcuna intenzione di regalare quote di mercato ai produttori americani come nell’ultima crisi del petrolio del 2014/2015. Allora i tagli alla produzione hanno fatto salire il prezzo mentre l’America raddoppiava la propria produzione arrivando ai livelli di Russia e Arabia Saudita. In un mondo normale tutti avrebbero interesse a produrre un po’ di meno pur di salvaguardare il prezzo, ma oggi la partita non guarda al breve termine ma al medio-lungo.



In sostanza, la Russia e l’Arabia Saudita si dicono disposte a subire le conseguenze dei crolli nel lungo periodo per andare a vedere quanto a lungo possa resistere l’industria americana in queste condizioni. Non è banale perché l’industria americana si è retta per anni su un mix di prezzi tutto sommato decenti e su una grandissima disponibilità di finanziamenti a tassi vantaggiosi; due condizioni che oggi per evidenti motivi non ci sono più.

Ieri Trump, conscio della questione, ha convocato i produttori nazionali per una riunione alla Casa Bianca. All’ordine del giorno c’è una possibile risposta del sistema con un taglio concordato della produzione tra i produttori americani. Si tratterebbe di una rivoluzione rispetto a tutto quello che è successo negli ultimi decenni e in particolare negli ultimi anni con la rivoluzione dello shale oil e tantissime imprese impegnate a incrementare la produzione. La buona notizia è che i canali diplomatici tra Russia, Stati Uniti e Arabia Saudita sono aperti; il calo così repentino del prezzo e lo shock economico del coronavirus hanno sorpreso tutti. Ora si tratta di capire se le concessioni americane saranno ritenute sufficienti dagli altri produttori.



Per Trump trovare un accordo sarebbe un successo politico notevole e soprattutto un problema finanziario in meno rispetto all’ampissima scelta attuale.

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