I rumour di possibile spin-off e quotazione di DRS ieri hanno fatto salire Leonardo di oltre il 7%. La società negli ultimi mesi si è fatta notare per una performance borsistica deludente e per i risultati trimestrali in calo rispetto al 2019. La decisione di quotare un pezzo importante del gruppo, come DRS, potrebbe rendere più evidente il valore inespresso e invertire la rotta del titolo. Questo è quello che hanno pensato ieri gli investitori anche se nessuno, ovviamente, sa con certezza se e quando il proposito si realizzerà. Anche Fiat Chrysler, sotto la gestione Marchionne in particolare, ha creato valore finanziario per gli azionisti rendendo evidente il valore delle società controllate con spin-off e quotazioni.



Sulla vicenda Leonardo limitarsi però a un’analisi “ordinaria” rischia di essere fuorviante. Leonardo è una società che non si può concepire e di cui non si può discutere senza presupporre la “politica”. Non è una questione di “nomine” o di azionisti, ma più profonda perché nessuno può pensare che gli aerei o gli elicotteri da guerra si comprino al supermercato o su qualche sito di vendite on-line. Il mestiere di Leonardo, così come quello dei suoi omologhi in giro per il mondo, non esiste senza la partecipazione a programmi pluriennali statali, senza l’appartenenza a un sistema Paese stabilmente inserito in certe alleanze geopolitiche e senza i rapporti internazionali del Governo. Leonardo non può in nessun modo prescindere dal sistema Paese di cui fa parte e dal suo Paese e questo vale per chiunque, nel mondo, faccia il suo mestiere. Se Boeing sviluppa un drone da guerra di ultima generazione per il Governo americano poi non può metterlo su Aliexpress o su Amazon e offrirlo al migliore offerente.



I Governi italiani negli ultimi anni hanno prodotto un arretramento geopolitico che si rende evidente nella vicenda dei pescatori italiani “bloccati” in Libia, nell’impossibilità di proseguire le forniture militari con Paesi mediterranei che si approvvigionano per mezzi, che avrebbero voluto comprare dall’Italia, da altri Paesi europei che si precipitano a sostituirci in un impeto di solidarietà europea. Sullo sfondo rimane lo schiaffo dato allo storico alleato americano con la performance della firma, in pompa magna, dell’accordo con la Cina sulla Via della seta, unico Paese del G7 e ovviamente unico membro della Nato a conseguire il risultato, e poi culminato con i convogli militari russi che giravano per l’Italia a marzo guidati da uomini in uniforme. Il minimo che si possa dire è che l’Italia non ha dato grande prova di affidabilità e serietà e che ha dimostrato di non saper difendere i propri interessi di fronte alle crisi fatte scoppiare dagli altri a qualche centinaio di chilometri di distanza. Questo evidentemente incide su un settore particolare.



Sottolineiamo anche che nell’Europa continentale l’unico concorrente serio all’industria della difesa francese, con grande insofferenza degli amici europei d’oltralpe, è Leonardo con i suoi storici rapporti transatlantici. Qualsiasi evoluzione dei rapporti intra-europei favorevoli alla Francia e sfavorevoli all’Italia determinano conseguenze inevitabili sull’autonomia e sull’efficacia italiana in questo settore. Ognuno, liberamente, esamini l’evoluzione dei rapporti di cui sopra negli ultimi cinque anni.

Una lista dei problemi, insomma, non sarebbe esaustiva se non contemplasse anche queste circostanze.