La posizione egemonica degli Stati Uniti d’America sulla finanza e sull’economia mondiale la si può inquadrare anche come distorsione e mancato rispetto di una delle relazioni fondamentali che legano tassi di interesse e mercato dei cambi negli scambi internazionali.

In sostanza, l’equilibrio fondamentale vuole rispettata in condizioni di mercati in sostanziale concorrenza l’assenza di guadagni di arbitraggio derivanti dall’impiego dei capitali in diversi tassi di interesse nazionali e in differenti valute in un periodo di tempo preordinato. Le due leggi fondamentali che regolano tali aspetti sono la parità coperta agli interessi e la parità scoperta agli interessi; la prima sarebbe un’identità contabile in un mondo che funzionasse in modo non distorto, la seconda è invece una vera e propria equazione con variabili centrate sulle aspettative.



La parità coperta agli interessi ci dice che se l’operatore del Paese x ha a disposizione un capitale di 1.000 che investisse in strumenti finanziari del proprio Paese con un certo tasso di interesse, che poniamo per esempio alla fine di un trimestre gli darebbero un guadagno di 100, e quindi un capitale incrementatosi a 1.100 complessivamente, lo stesso risultato dovrebbe essere garantito dal cambio di quei 1.000 in una qualche valuta straniera e contestuale impiego trimestrale su strumenti finanziari del Paese estero in questione; alla fine del trimestre il risultato finale in valuta estera nel Paese esterno convertito alla valuta nazionale dovrebbe portare a un nuovo capitale di 1.100.



Tutto questo meccanismo assicura, come sarebbe ovvio, l’assenza di guadagni di arbitraggio, in quanto se qualcuno guadagnasse da operazioni del genere in modo costante sarebbe seguito da tutti gli altri operatori del mercato che finirebbero per azzerare questi guadagni in relazione ad altri tipi di operazione.

Bene, il primo risultato imbarazzante che si ha dai primi anni 2000 a questa parte è che investire in dollari è troppo spesso remunerativo rispetto ad altre valute, in quanto il biglietto verde non risente di tale legge in modo vincolante, dato che non è solo una normale valuta di scambio ma anche quella finora considerata asset di riserva in tutto il mondo; detto meglio, un capitale investito in dollari rispetto a quello investito in un’altra valuta alla fine di un periodo come l’anno si è rivelato conveniente in maniera troppo frequente, in quanto c’è una “seconda domanda” di dollari che non è determinata dagli scambi di merci e servizi, né dalle normali operazioni dei movimenti di capitali finanziari, ma al contrario è una domanda di un asset rifugio che in questi anni ha sostituito di molto l’oro, relegando la materia prima ad assicurazione fondamentale in caso di eventi cataclismatici (vedasi Covid-19 e invasione dell’Ucraina).



Immaginiamo che nel Paese x ci sia al momento t0 una curva dei rendimenti a 10 anni che a un anno dia il 10% di interesse; allora un operatore qualsiasi di quel mercato investe il suo capitale di 1.000 all’interno cercando il tasso medio del 10% che con alta probabilità dovrebbe essere verificato tra un anno (ci muoviamo cioè in condizioni di neutralità al rischio e quindi sostanziale certezza); se invece il nostro operatore volesse investire in forward e future legati al dollaro, dovrebbe scegliere con le medesime condizioni neutralità al rischio quei derivati, swap, futures che tra un anno diano il risultato in valuta del suo paese di 1.100 (rendimento del 10%); tuttavia, dagli inizi degli anni 2000 si può osservare una robusta evidenza, e cioè che spesso, molto spesso fare operazioni sui forward col dollaro americano con risultato atteso di 1.200 abbia dato esiti positivi, e ciò è sostanzialmente un’invalidazione della legge della parità coperta ai tassi di interesse.

Detto ancora meglio, se un contratto future alla scadenza è strutturato con un dollaro poniamo pari a 100 a una valuta y, troppo spesso il cambio spot alla data di liquidazione di questo future è stato superiore a 100, permettendo così una sostanziale violazione della legge di arbitraggio dei guadagni, frequente e costante nel tempo.

Nel lungo periodo questo meccanismo finanziario non è mantenibile, e ora siamo nel punto di lungo periodo nel quale dagli inizi degli anni 2000 si sono cumulate ogni tipo di storture, compresa quella più appariscente di una posizione netta debitoria sull’estero degli Usa pari a 16.500 miliardi di dollari; questo debito, che conferma che gli Usa consumano e investono a debito oltre le loro possibilità, è stato finanziato dal ruolo di asset di riserva del dollaro, in quanto per “qualsiasi Paese normale”, l’accumulo gigantesco di debiti avrebbe portato a un deprezzamento tale della propria valuta nazionale che di fatto avrebbe dimezzato le importazioni rispetto alle esportazioni, per permettere il miglioramento della bilancia dei beni e servizi, e in sequenza di quella commerciale, mentre per il dollaro si è avuto un continuo apprezzamento o un deprezzamento molto più tenue di quello necessario rispetto a quanto richiesto, per avere rispettata la legge della parità coperta agli interessi.

Risultato finale: saldi costanti negativi della bilancia dei pagamenti, emissione di debito pubblico e contestuale stampa di dollari; alla fine il debito gigantesco con l’estero di 16.500 miliardi di dollari, unicum nella storia. Ma allora sarebbe da chiedersi da dove è derivata la condizione del dollaro come asset di riserva e moneta degli scambi mondiali, che nonostante le crisi finanziarie e i debiti della nazione Usa fa chiedere sempre più dollari al resto del mondo; la condizione che ha originato tutto è stata l’implementazione dell’impero americano dal 1991 con la caduta dell’Unione Sovietica, e in sequenza i tanti meccanismi tramite i quali si è esplicitato; uno tra tutti, il più famoso: i petrodollari, e cioè che il petrolio dei Paesi del Golfo persico aveva come valuta di scambio obbligatoria i dollari.

La parità scoperta agli interessi abbiamo invece detto che è una vera e propria equazione con incognite da risolvere, in quanto, in questo caso l’operatore del Paese x il suo capitale di 1.000 non lo investe su strumenti finanziari né future, né forward per l’anno di riferimento, ma al contrario “specula” su come potrà investire quel capitale di 1.000 tra un anno stante il verificarsi o meno delle sue aspettative rimanendo sostanzialmente spot o short; questa seconda relazione tra tassi e cambi è stata di fatto l’unica che in questi anni ha permesso agli operatori dei veri guadagni sistemici ma del tutto poco frequenti contro il dollaro; cioè in una posizione pura speculativa in teoria si dovrebbe partire come testa o croce (50% dell’evento atteso a favore e 50% dell’evento avverso) e ciò sarebbe tanto più vero quanti più sono gli anni su cui si scommette e si specula; nei fatti, però, speculare contro il dollaro ha portato solo il 10% delle volte ad avere una posizione remunerativa.

Si pensi, ad esempio, ai movimenti dell’euro che dall’inizio degli anni 2000 da 1,5 è sceso fino a un anno fa alla parità col dollaro; ebbene, in posizione speculativa si poteva sfruttare il deprezzamento dell’euro per costruire uno schema di guadagni in dollari il 90% delle volte; ma così anche per l’oro, per le materie prime, ecc.

In sostanza, legarsi a strumenti finanziari forward significava legarsi in maniera effettiva alle sorti positive in modo quasi certo e sicuro del dollaro, stante la quasi totale mancata validità della parità coperta agli interessi, mentre nello schema speculativo dell’equilibrio scoperto si è potuto guadagnare contro le performances del dollaro assumendo però un rischio ben superiore alla media degli accadimenti (pagandone cioè il premio).

Del resto, per rendere ancora più chiare tali dinamiche, basta riprendere le operazioni sul Comex di Wall Street che riguardano l’oro; in un precedente articolo si è detto che a fronte di una sola oncia fisica di oro detenuta dalla Clearing House, si trattano circa 558 derivati in once d’oro; il primo livello di forzatura lo abbiamo già descritto, e cioè che se alla scadenza acquirenti e venditori liquidano solo le differenze sui loro derivati in dollari è semplice da parte della Clearnig House gestire in maniera tranquilla qualsiasi evento contrario al dollaro, dato che tutti gli operatori venditori e acquirenti comunque scambiano dollari tenendone alta la domanda dei corsi, e in sequenza volendolo in portafoglio. Il secondo livello di forzatura è più sottile: se come autorità posso fare quasi a meno dell’oro fisico, posso pilotarne il prezzo futuro e quindi spot emettendo i derivati che si basano sulle aspettative più rosee per il corso del dollaro (direttiva di stretta provenienza del dipartimento del Tesoro Usa che la Clearing House applica).

Gli aspetti sopra evidenziati ci fanno apprezzare da altra angolazione la grave e severa stortura finanziaria che si è accumulata a livello internazionale, avendo adottato di fatto e proceduralmente il dollaro come asset di riserva e moneta degli scambi internazionali In definitiva, il dollaro è attualmente enormemente sovraprezzato e il mancato rispetto delle leggi finanziarie prima esposte ce ne dà una spiegazione da un’angolazione particolare e quando si verificherà la necessaria svalutazione conseguente è materia di preoccupazione odierna per i ritmi, le quantità e i tempi; tutti aspetti al momento avvolti in una fosca nuvolaglia.

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