Per Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Bce, “un taglio dei tassi a luglio non sembra scontato sulla base dei tagli attuali”, “dovremmo guardare molto attentamente ai dati perché c’è il rischio di allentare prematuramente”. Isabel Schnabel si riferisce a quello che accadrà dopo il primo taglio di giugno che invece è scontato e aggiunge che “i rischi sull’inflazione sono ancora al rialzo”.
Queste dichiarazioni avvengono in un quadro in cui l’economia europea rallenta e in cui l’inflazione dell’eurozona è poco sopra al 2%. Anche gli ultimi dati che arrivano dall’America segnalano un rallentamento. Si potrebbe concludere che Isabel Schnabel rifletta la storica avversione tedesca per l’inflazione che sarebbe fuori dal tempo e incomprensibile in questo scenario economico. Queste dichiarazioni potrebbero anche riflettere una prudenza che deriva dall’errore di politica monetaria dell’autunno del 2021: gli inizi di un’inflazione poi salita ai massimi degli ultimi quarant’anni sono stati scambiati per un fenomeno transitorio e i rialzi dei tassi che sarebbero stati opportuni sono arrivati in ritardo.
In questi giorni il prezzo del rame raggiunge i massimi di sempre con un rialzo del 25% da inizio gennaio. Questo andamento è inusuale, anche considerando “l’energy transition”, alla vigilia di una fase che sarebbe di rallentamento. L’indice Bloomberg sulle materie prime è salito dell’11% in tre mesi. Potremmo archiviare il fenomeno e classificarlo come uno dei tanti episodi di euforia finanziari degli ultimi anni. La liquidità sui mercati scorre abbondante e le condizioni finanziarie sono favorevoli; se così non fosse non ci troveremmo a commentare i nuovi massimi di sempre dei listini azionari. Biden intanto posticipa di nuovo il pagamento dei debiti degli studenti americani, con cui si sono pagati il college, per un importo di mille miliardi di dollari. La domanda inevitabile è cosa succeda alle condizioni finanziarie e ai prezzi, dal punto di partenza di oggi e cioè dopo tre anni di politiche espansive, se di fronte a un rallentamento e per sostenere l’economia si rispolverassero gli strumenti di sempre. Forse è un caso, ma ieri anche l’oro ha sfondato i massimi di sempre.
Torniamo a Isabel Schnabel. Oggi le catene di fornitura globale si rompono e si accorciano; le materie prime non si spostano più con la stessa fluidità “di sempre”. Si pagano poi le conseguenze di una lunga fase in cui gli investimenti in nuove miniere, per esempio, sono stati ridotti ai minimi e gli investimenti, sicuramente in Occidente, sono stati piuttosto dedicati a “data center” e “intelligenza artificiale”. Le guerre commerciali contribuiscono a spezzare gli approvvigionamenti. Entrare in questa fase senza salvaguardare la valuta è molto rischioso. Per l’Europa è doppiamente rischioso perché non ha materie prime proprie con cui limitare i danni e perché i rapporti con suoi partner commerciali storici a est, Russia in primis, e a sud, dalla Libia al Medio Oriente e poi in Africa sub-sahariana, sono compromessi o minacciati dagli sviluppi geopolitici. Il rischio di importare inflazione in questa fase con l’America che, forte della valuta di riserva globale, dei suoi rapporti commerciali e delle sue risorse, mantiene le condizioni monetarie e fiscali espansive è concreto.
Se l’Europa non calibra gli interventi di politica monetaria avendo presente questo scenario e se gli investitori si abituano all’idea che è disposta a svalutare l’euro, il rischio per l’Unione è di non riuscire più a gestire i prezzi; solo una recessione può contenere le spinte inflattive imposte dalle condizioni finanziarie, fiscali e geopolitiche di oggi, ma questa, ovviamente, non è una soluzione. L’alleato americano con il deficit molto sopra la media non sta aiutando l’Europa. Più passa il tempo, più diventa chiaro quanto alto sia il costo della posizione geopolitica in cui si è ritrovata l’Europa.
La prudenza di Isabel Schnabel può far guadagnare tempo, ma non molto di più, perché anche le conseguenze di tassi più alti del dovuto sono inevitabili.
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