Huawei ha deciso di cambiare l’amministratore delegato di Huawei Italia inserendo ai vertici della partecipata il già amministratore delegato della società in Egitto. Secondo l’interpretazione dei media, la ragione dell’avvicendamento sarebbe l’esigenza di avere un manager in grado di affrontare una situazione che forse si è complicata più di quanto si potesse pensare qualche anno fa perché l’Italia avrebbe deciso di contenere la presenza dell’operatore cinese come si evince, per esempio, dalla decisione di Tim di tornare al vecchio schema sui fornitori del 5G con Huawei ferma al 25% rispetto al 40% che si ipotizzava qualche mese fa.



Le pressioni americane avrebbero sostanzialmente sortito qualche effetto, ma la posizione italiana rimane comunque unica. L’idea di una parte della politica italiana, del nostro ministro degli Esteri ma non solo, sarebbe quella di continuare ad avere i benefici che derivano dall’appartenenza alla Nato in tema di sicurezza, ma non solo, e di poter avere campo libero nei rapporti economici, finanziari e industriali con la Cina. Quindi l’Italia continuerebbe a dipendere per la propria sicurezza dalla Nato, in assenza di un qualsiasi esercito europeo in un orizzonte temporale di medio periodo, ma da un punto di vista economico aumenterebbe la dipendenza dalla Cina. L’Italia non può, ovviamente, nemmeno accarezzare l’idea di rompere l’alleanza militare visto, soprattutto, il rialzo della temperatura che si è registrato negli ultimi anni nel Mediterraneo. Potrebbe farlo ma sarebbe un salto nel buio da incoscienti.



La questione, fino a qui, è nota e discussa; quello di cui si discute meno è che l’Italia in questo modo non è solo diventata scomoda e pericolosa per l’alleato americano ma anche per quello “europeo”. L’Europa non è un “monolite” e comunque qualsiasi ambizione di una politica europea che tenga insieme le esigenze della politica industriale comunitaria e quelle dell’alleanza atlantica richiede un approccio comune. Né la Germania, né la Francia hanno sottoscritto l’accordo sulla Via della seta e a metà novembre i ministri degli Esteri francese e tedesco, in un articolo pubblicato sul Washington Post, hanno scritto che gli Stati Uniti e l’Unione europea dovrebbero “consultarsi per coordinare il loro approccio verso la Cina sui diritti umani, le infrastrutture digitali e il commercio”. Questo non è possibile se l’Italia, inaffidabile, diventa un cavallo di troia con cui si limita l’efficacia delle decisioni comuni in Europa.



Il partito filocinese in Italia è un unicum in Europa che non rischia solo di metterci in conflitto con il nostro alleato militare storico, ma anche con “l’Europa” soprattutto se questa, magari con l’amministrazione Biden, tornasse a un approccio comune. L’Italia rischia di completare il capolavoro di rendersi inaffidabile per tutti: abbiamo cominciato con i partner mediterranei, poi con gli Stati Uniti, poi con l’Europa per concludere con la Cina. Amici di tutti o amici di nessuno?