C’è attesa per l’inizio del simposio dei banchieri centrali in programma dal 26 al 28 agosto a Jackson Hole. E con l’avvicinarsi dell’appuntamento cresce anche il pressing sul Presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, affinché cominci a dare indicazioni sul termine delle politiche espansive, attuando il cosiddetto tapering. Secondo Mohamed El-Erian, Chief economic advisor di Allianz, intervistato dal Sole 24 Ore, “il Presidente Powell dovrebbe comunicare il calendario per un programma di riduzione degli acquisti e i dettagli della sua attuazione.
Più a lungo attende, maggiore è il rischio di una tempesta perfetta per l’economia statunitense tra la fine dell’anno e l’inizio dell’anno prossimo”. Stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, gli stessi funzionari della Fed stanno in effetti valutando di concludere gli acquisti di asset entro la metà dell’anno prossimo. Come ci spiega Luigi Campiglio, la situazione è molto complessa e riguarda anche l’Europa. «È vero – evidenzia il Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – che c’è negli Stati Uniti, a partire dal Segretario al Tesoro Janet Yellen, una spinta per un ritorno alla “normalità” anche per quel che riguarda l’azione della Banca centrale. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che è stato appena approvato anche dal Senato il gigantesco piano per le infrastrutture da 1.200 miliardi di dollari voluto da Biden».
Un così forte stimolo fiscale non dovrebbe facilitare il ritiro del sostegno della Fed?
Nel momento in cui si crea un forte disavanzo ci dovrà essere qualcuno che comprerà il debito emesso. È vero che non c’è limite all’ingegneria finanziaria, ma credo che una spinta fiscale di quell’ampiezza difficilmente potrebbe essere implementata negli Stati Uniti senza una collaborazione, un sostegno della Fed.
Se però non ci fosse il tapering, continuerebbe a crescere la liquidità sui mercati finanziari, con il rischio di gonfiare sempre più una bolla la cui esplosione potrebbe poi avere forti impatti…
È assolutamente così. Sembra che ci sia stia dimenticando dell’esistenza dell’incertezza e del rischio che aumentano al crescere della bolla. Non dobbiamo scordare che il 2008 è nato proprio negli Stati Uniti. Questa è del resto anche la preoccupazione, che condivido, della Yellen, perché sui mercati finanziari, oramai, è praticamente impossibile capire quale sia il valore reale degli asset.
Un altro rischio è quello di avere un rialzo eccessivo dell’inflazione?
Sì, anche se gli impulsi inflazionistici che si sono registrati finora sono strani e concentrati su alcuni item particolari. Per esempio, negli Stati Uniti c’è stato un forte aumento dei prezzi delle automobili usate. Crea qualche timore in più, invece, il rialzo degli affitti, perché con tanta liquidità e credito abbondanti il risparmio cumulato, come del resto accade anche da noi, sta defluendo sul mercato immobiliare. Questo può portare al rischio di un aumento della divaricazione sociale. D’altro canto è pur vero che ci sono segnali di un possibile rallentamento dell’economia.
A che cosa si riferisce?
C’è stato un crollo della fiducia dei consumatori, che spesso in passato ha preceduto un rallentamento dell’economia. Del resto c’è stata una ripresa dei contagi di Covid e non credo che negli Stati Uniti si siano dimenticati che nel 1937 parevano usciti dalla Grande depressione, ma ci fu subito un ritorno in recessione. Dunque da parte di Powell potrebbe anche esserci un annuncio di tapering tra le righe, ma senza l’intenzione di attuarlo in tempi rapidi.
Tutto questo discorso sugli Stati Uniti ha implicazioni per l’Europa?
Eccome! Non dobbiamo dimenticare che viviamo in un mondo in cui i canali del credito sono globali e ciò che fanno le potenze egemoni, ovvero Usa e Cina, si propaga per il mondo intero. In Europa dobbiamo per forza di cose aver presente cosa sta avvenendo lì per capire quale grado di successo possono avere le manovre che stiamo mettendo in campo. L’Ue sta scontando la propria frammentazione, forse ancora inevitabile al momento, ed è in ritardo non solo con il Recovery fund, dato che le prime risorse sono arrivate proprio in questi giorni, ma anche rispetto agli Stati Uniti.
Questo è un bene o un male?
Essere “sfasati” non è necessariamente un male, anzi, io accetterei volentieri un decoupling tra Usa ed Europa, perché altrimenti rischiamo di subire le ricadute di quello che potrebbe avvenire Oltreoceano dove, non dimentichiamolo, l’anno prossimo si terranno le elezioni di midterm, alle quali il Paese potrebbe arrivare diviso come non mai. Ci potrebbe essere la tentazione, come mostra l’ambizione della Yellen, di cercare di “normalizzare” la situazione…
…E se mai dovesse esserci il tapering negli Usa sarebbe bene che l’Europa non ne seguisse subito l’esempio…
Sì, il concetto di fondo è questo. Potrebbe anche essere il momento in cui una certa autonomia di movimento a livello europeo potrebbe giovare al successo del Recovery fund. Se la Bce andrà avanti con le sue politiche accomodanti, l’unico elemento in grado di generare squilibri sarebbe una propagazione sulla catena del valore degli impulsi inflazionistici. Ancora non ci sono segnali allarmanti in tal senso, ma sarà bene prestare attenzione.
(Lorenzo Torrisi)
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