Xi Jinping, aprendo il Congresso del Partito comunista cinese, ha indicato un nuovo obiettivo per l’economia del gigante asiatico: sviluppo di alta qualità con hi-tech di alto livello e innovazione tecnologica. Il Presidente cinese ha anche ribadito che sulla questione Taiwan non intende rinunciare alla forza, qualora si rendesse necessaria alla riunificazione. Propositi che non possono non scontrarsi con le politiche degli Stati Uniti, non solo per quel che riguarda il futuro di Taipei, ma anche per il primato tecnologico globale. Joe Biden, infatti, la settimana scorsa ha firmato un provvedimento che limita fortemente l’export di microchip e intelligenza artificiale verso Pechino.
Come spiega Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, effettivamente «la Cina sta affrontando delle difficoltà dal punto di vista economico: esporta meno, sia perché gli Stati Uniti, non va dimenticato, sono in recessione tecnica, sia perché anche la Germania, Paese europeo che ha più scambi commerciali con Pechino, è in forte difficoltà; il settore immobiliare, grande motore economico degli ultimi anni, sta affrontando una grande crisi; le restrizioni anti-Covid, con lockdown severissimi, hanno avuto inevitabilmente un impatto sulla produzione».
La mossa di Biden rischia di mettere ancora più in difficoltà Pechino?
Non è detto, perché la Cina in molti settori tecnologici ha superato gli Stati Uniti, ha fatto passi da gigante nell’industria aerospaziale e ha un enorme potenziale. Tra l’altro va ricordato che quando in passato venne presa una misura simile, furono gli stessi rappresentanti dell’industria elettronica statunitense a chiedere all’Amministrazione di fare marcia indietro in quanto la contromossa adottata da Pechino, con il divieto di export per determinati componenti, li aveva messi in difficoltà.
Oggi si potrebbe ripetere qualcosa di simile se la Cina adottasse una contromossa dello stesso tipo?
La vera difficoltà si avrebbe se i microprocessori fabbricati a Taiwan non potessero più andare all’estero. La stessa questione relativa a Taipei va guardata tenendo conto che oltre la metà dei microchip del mondo viene fabbricata su quell’isola.
Alla luce anche di quanto ci aveva detto in una precedente intervista, cioè l’importanza che l’Ue mantenga buoni rapporti commerciali con Pechino per riuscire ad avere una Germania più “solidale” con gli altri Paesi membri, questo inasprirsi del confronto Usa-Cina complica le cose in Europa?
In un certo senso sì, perché se gli Stati Uniti mettono una specie di embargo su determinate tecnologie non potrebbero vedere di buon occhio l’eventuale vendita da parte europea di tali prodotti alla Cina. A quel punto l’Ue rischierebbe di essere vittima di sanzioni da parte di Washington. Una mini-guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico c’era già stata ai tempi di Trump, ma adesso la Nato è importante e quindi Biden sarà più cauto del suo predecessore, ma farà comunque pressioni. In questo frangente quello che salta più agli occhi nel confronto tra Usa e Cina è la debolezza dei rispettivi leader politici: Xi Jinping è oggettivamente debole e di fronte a problemi economici giganteschi, mentre Biden si è contraddistinto per aver usato parole molto forti, quasi sopra le righe, in politica estera e tra non molto deve affrontare la sfida delle elezioni di mid-term.
Salta agli occhi anche la debolezza e la fragilità dell’Europa…
Indubbiamente. Anche se guardiamo ai singoli Paesi più importanti dell’Ue: dalla Francia, dove gli scioperi in corso possono creare un clima sociale molto difficile, alla Germania, sempre esitante, anche per via della triplice anima del Governo, fino all’Italia, dove l’Esecutivo non è ancora nato, ma si intravedono già delle difficoltà.
Questa settimana si terrà un importante Consiglio europeo sulla crisi energetica. È fiducioso sulla possibilità di un accordo?
Qualcosa si farà, ma non si arriverà a quanto auspicato da Ursula von der Leyen. Per esempio, è difficile pensare che si possa restare nella situazione attuale in cui il TTF di Amsterdam, che di per sé esprime il prezzo delle piccole quantità spot, è diventato di fatto determinante per tutti i contratti relativi al gas.
Torniamo agli Stati Uniti. Cambierà qualcosa nel rapporto con la Cina dopo le elezioni di mid-term?
Non saprei, bisognerà anche vedere se i Democratici perderanno e di quanto. Perché se l’alternativa è Trump nella forma estrema, non è detto che vincano i Repubblicani.
Non dobbiamo quindi dare per scontato che i Democratici perdano.
Esattamente, anche perché tutto si gioca essenzialmente sul Senato e non è detto che i Democratici perdano la maggioranza.
(Lorenzo Torrisi)
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