I mercati stanno continuando a dare segni di nervosismo. Non ci riferiamo solo alla borsa americana che ieri ha chiuso negativamente per il terzo giorno di fila, ma a eventi davvero “singolari” come l’obbligazione trentennale tedesca con rendimento negativo e la corsa al franco svizzero. È chiaro a tutti, come ci dicevamo giovedì, che la Fed alla fine interverrà e che già mercoledì si intravedeva l’inversione, ma la “narrazione” su quello che accade rimane molto importante. Ci dovremmo chiedere come mai nonostante il Qe “dietro l’angolo” sui mercati succede quello che sta succedendo. Giovedì sera Trump ha annunciato nuovi dazi contro la Cina e il turno dell’Europa si avvicina ogni giorno che passa. Ieri la giornata si apriva con una notizia di Bloomberg che dava per possibile un annuncio sui dazi europei nella serata di venerdì.



Il dollaro debole che sicuramente vorrebbe Trump non è, in questi mercati, nell’ordine delle cose possibili. Il dollaro, acciaccato e bistrattato, è ancora il bene rifugio ed è difficile immaginare che possa indebolirsi fino al punto desiderato da Trump. Guardiamo cos’è accaduto mercoledì sera. La Fed chiude il restringimento monetario e il dollaro si rafforza. Delle due l’una: o gli investitori sono tutti stupidi e non si accorgono che la “narrazione” di una Fed che non accontenta Trump è finta oppure c’è qualcos’altro. La narrazione però è importante.



Trump non sta vincendo la sua guerra commerciale con la Cina o con l’Europa. Questo lo sappiamo per certo perché i dati lo testimoniano in modo evidente. Sappiamo anche che l’America non può continuare a tenere in vita questi squilibri se non vuole cedere definitivamente alla Cina lo scettro della supremazia geopolitica. La Cina sa perfettamente che Trump non può passare per quello che affossa i mercati perché gli americani che in borsa hanno tutti i risparmi non lo perdonerebbero. Ed è difficile spiegare che dieci anni e passa di distrazioni sui rapporti commerciali cinesi a tutto vantaggio di alcune multinazionali americane si devono “pagare” se non si vuole retrocedere.



Trump ha una sola linea di azione possibile che è quella di approvare dazi sulle importazioni cinesi senza discrimine e poi, ma solo in un secondo momento, presentarsi dalla Fed con la richiesta, a quel punto irrifiutabile, di supportare Washington con un taglio dei tassi per lenire le conseguenze della guerra commerciale, aiutarla e placare i mercati. A quel punto c’è persino la possibilità che il dollaro si indebolisca per davvero. Diciamo Trump, ma pensiamo all’America in quanto tale. La guerra commerciale americana e il riequilibrio di rapporti commerciali sbilanciati è la cornice all’interno cui si deve leggere quello che accade.

La narrazione oggi è quella di una Fed poco “patriottica” e che si fa “fregare”. Sappiamo che non è così, ma la narrazione è questa. I mercati il giorno dopo il taglio di un quarto di punto non hanno scontato il mancato stimolo monetario. Hanno scontato l’aggravarsi della guerra commerciale. È questa la “bad news”, la notizia cattiva, con tutte le sue conseguenze che alla fine legittimerà il Qe “narrato”. Tutto ciò dovrebbe far preoccupare molto l’Europa che dall’elezione di Trump ha continuato imperterrita a fare quello che ha fatto dal 2008: politiche mercantiliste con annesse austerity e deflazioni scaricate sulla periferia per tenere insieme l’euro con i suoi vincitori e vinti; crescita trainata dalle “irresponsabilità” degli stimoli altrui. Mantenendo squilibri dentro l’euro che fanno gola perché sulla periferia umiliata e ricattabilissima dentro e dal “sistema euro” si possono fare affari colossali.

Questa è la lucidità delle “élite” europee che ha raccolto oceani di proseliti e fanatici pronti a giurare su quanto fosse buona la Germania, quanto fosse veramente europea la Francia e pronti a negare l’evidenza di quello che sono l’euro e le sue élite “carolinge” nonostante da almeno 7 anni, dal 2012, non ci sia un economista serio che non abbia detto che il re è nudo. Oggi ci piacerebbe sapere quale possa essere la ricetta dell’Unione europea, tutta esportazioni e austerity, di fronte a una guerra commerciale vera. Una bella dose di deficit allo zero virgola e una bella patrimoniale prociclica in Italia? Oppure la Francia riesce a ribaltare i rapporti di forza perché se no la Germania non sa più dove sbattere la testa accerchiata come è da un’Europa distrutta, da un’America ostile e da una Gran Bretagna con Johnson primo ministro?

Questo senza considerare le pressioni sulle scelte geopolitiche che continuano ad arrivare. Ma non ci avevano detto che noi europei eravamo i più stabili di tutti? Quelli più saggi e prudenti? Che meno male che non eravamo come il Giappone o la Cina o, ancora peggio, l’America? L’animale più debole in una guerra commerciale vera è l’Unione europea e il rischio è che a qualcuno nel processo possa venire la tentazione di provare a smontarla e prendere quello che rimane. L’Europa è la stessa che entra in questa fase con la sua terza e moribonda economia, dopo due recessioni di cui una palesemente da austerity e da “distrazione” della Bce, lasciata in balia dei mercati perché non fa abbastanza surplus primario; con una politica fiscale che assicurerà anche questa volta che una crisi diventi una recessione drammatica.

Gli stessi che dicono che l’Italia si è meritato quello che ha dovrebbero avere l’onestà intellettuale di dire che l’Unione europea, condotta dal suo “centro carolingio”, si meriterà quello che verrà per una somma incredibile di ottusità e interessi di “bassissimo” livello.