Dopo il discorso che Janet Yellen ha tenuto il 13 aprile al Consiglio Atlantico sono aumentate le voci che hanno espresso la necessità di una nuova Bretton Woods con cui stabilire le fondamenta istituzionali ed economiche di un nuovo ordine mondiale. Nelle intenzioni del segretario del Tesoro degli Stati Uniti una nuova struttura di governance dovrebbe rispondere alla domanda di un commercio internazionale non più semplicemente “libero”, ma soprattutto “sicuro”. La necessità strategica di garantire la continuità delle catene del valore globale non può prescindere da un assetto istituzionale saldo e composto da Paesi che condividono valori e obiettivi, detto altrimenti, si tratta di trovare un modo per riequilibrare la situazione che ha visto i Paesi produttori di materie prime accrescere la propria influenza, utilizzando come leva geopolitica la loro capacità di condizionare le economie dei Paesi più avanzati.
Se da un lato il discorso della Yellen ha chiuso definitivamente la stagione del laissez faire e dei modelli basati sull’efficienza dei mercati finanziari, dall’altro ha palesato la necessità di ridefinire il rapporto con la Cina e quindi di superare l’attuale sistema bipolare in favore di un più inclusivo ed efficiente multilateralismo basato su valori condivisi e nuove istituzioni. Indipendentemente dalle dichiarazioni del segretario al Tesoro e su cosa realmente intende l’Amministrazione americana con “sistema multipolare”, la creazione di un nuovo ordine mondiale non sarà un processo indolore e non potrà prescindere da questioni monetarie e geopolitiche che al momento non sembrano avere una facile soluzione.
Lo status di strumento di riserva internazionale del dollaro potrebbe essere la prima vittima del nuovo assetto internazionale, un processo che le sanzioni economiche inflitte alla Russia potrebbero aver accelerato, alimentando il rischio che sempre più banche centrali – come ad esempio ha fatto recentemente Israele – riducano la quota in dollari delle loro riserve monetarie. Inoltre, è realistica la possibilità che il crescente apprezzamento delle valute nazionali di Paesi produttori di materie prime, ovvero di monete “coperte” da beni tangibili, possa produrre un nuovo Gold standard strutturalmente alternativo al sistema basato sulla centralità del dollaro. Il rublo fungerebbe da apripista di questo progetto alternativo, essendo, di fatto, la prima moneta agganciata alle materie prime; in un contesto in cui negli ultimi anni il dollaro ha perso il suo valore dell’80% nei confronti dell’oro, il rischio che anche altre economie nazionali possano ancorare le proprie valute nazionali a panieri che includono l’oro può essere considerato concreto.
In definitiva, la nuova Bretton Woods potrebbe basarsi sulle materie prime, ribaltando il paradigma nato dopo le crisi degli anni Settanta che invece ne postulava la finanziarizzazione. È lecito pensare che la Yellen non si riferisse a questo tipo di scenario quando faceva riferimento agli accordi siglati nel 1944 nel New Hampshire, anche perché rinunciare allo status privilegiato del dollaro per gli Stati Uniti vorrebbe dire fare finalmente i conti con il loro colossale debito pubblico. A complicare ulteriormente la situazione c’è la questione legata alla questione delle monete digitali, fra le quali gioca un ruolo sempre più importante lo yuan, e alle criptovalute indipendenti come il Bitcoin. Si tratterebbe, quindi, di una nuova Bretton Woods digitale e al contempo delle materie prime in cui disegnare un mondo non più caratterizzato dal dominio del dollaro. Uno scenario che richiederebbe l’intesa di più soggetti, un’eventualità che in tempi di guerra sembra essere lontana dalla realtà.
A ogni modo, la questione di un nuovo ordine multipolare rimane sul tavolo e potrà essere sciolta soltanto dal tipo di leadership che verrà assunta in questa fase di transizione. Se gli Stati Uniti decidessero di declinare la propria egemonia nel senso che intendeva Charles Kindleberger, ovvero come “responsabilità” di assicurare la stabilità del sistema delle relazioni internazionali, probabilmente potrebbero “guidare” i processi in atto, ma l’enorme costo di un simile disegno fa pensare che al momento siano piuttosto tentati di limitarsi a mettere sulla bilancia il loro soverchiante potere militare e la loro superiorità tecnologica per controbilanciare il peso geopolitico e geo-economico dei Paesi produttori di materie prime e di chi come la Cina ha accumulato ingenti quantità di terre rare.
D’altro canto la Cina, grazie alle aspirazioni egemoniche di Xi Jinping, sembra aver perso l’occasione di farsi l’animatore di una nuova Bandung – dal nome della conferenza che si tenne nel 1955 in cui i Paesi non allineati si fecero promotori della decolonizzazione e di un sistema multipolare – e ha ancora bisogno di tempo per poter realmente sfidare militarmente e finanziariamente gli Stati Uniti. Poiché all’orizzonte non si intravedono né un novello Keynes, né un nuovo Bancor – magari digitale e ancorato alle materie prime – un nuovo ordine monetario e istituzionale sembra essere molto lontano dalla sua realizzazione e al momento l’unica forza storica in grado di forgiare il mondo del futuro rimane la guerra con le sue imprevedibili conseguenze.
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