Tra poco più di un mese (il 20 gennaio) si terrà la cerimonia di insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Nei mesi di campagna elettorale il candidato repubblicano non ha nascosto le sue intenzioni circa un aumento dei dazi, provocando non pochi timori sia nell’Ue che in alcune istituzioni internazionali preoccupate per quello che potrà succedere al commercio globale. Secondo Michele Briamonte, noto avvocato d’affari e managing partner dello studio Grande Stevens, nonché Presidente del Consorzio Residenze Reali Sabaude, «le mosse annunciate dalla nuova Amministrazione Usa non vanno viste in ottica anti-globalizzazione, isolazionista o di mero tornaconto per i produttori americani, ma semmai come il tentativo di cogliere una sfida insita nella globalizzazione».



Quale sfida?

I dati relativi al 2023 dicono che i Brics rappresentano il 32% circa del Pil globale, mentre i Paesi del G7 poco più del 29%. Si tratta di una situazione frutto del consenus generale occidentale che aveva interesse a che gran parte della popolazione mondiale venisse coinvolta in un modello legato al capitalismo e ai mercati dei capitali avanzati. Oggi, però, che i Brics hanno conseguito, grazie a una forte crescita, questo sorpasso nella quota di Pil globale, negli Usa si è deciso di optare per una politica commerciale meno accomodante anche per così dire sfidare i Brics a riuscire a mantenere il primato raggiunto.



Riusciranno a mantenerlo?

Penso di no. Non dobbiamo tra l’altro dimenticare i problemi endemici di alcuni Paesi Brics, come il numero di poveri in alcune aree della Cina o l’analfabetismo in India, problemi che potrebbero anche esplodere come avvenuto in Europa nel XIX secolo. C’è in ogni caso una seconda competizione importante tra le grandi potenze mondiali, che si gioca a livello tecnologico.

Ci spieghi meglio.

La sfida di questo secolo riguarda la stabilizzazione del calcolo quantistico. Chi per primo annuncerà di aver raggiunto questo traguardo avrà un grande vantaggio sul resto del mondo, sia in termini di applicazione pratica nel campo dell’Intelligenza artificiale che nell’elaborazione di previsioni e strategie militari. Mi sembra che anche in questo caso la politica annunciata dalla nuova Amministrazione Usa cerchi di far sì che la competizione tecnologica sia protetta da un sistema legale e normativo idoneo. Penso, quindi, in sintesi, che le politiche che la Casa Bianca intende attuare abbiano un profondissimo senso sia in termini di competizione globale, sia in termini di volontà di prevalenza tecnologica.



L’Ue appare, comunque, spaventata da queste politiche…

Non possiamo trascurare la visione che gli Stati Uniti hanno dell’Europa in questo momento, ovvero un sistema piuttosto vantaggioso per i suoi cittadini, che possono godere di una grande rete di protezioni universalistiche, dalla sanità all’istruzione. Un sistema difficile da comprendere per il decisore politico americano, che tra l’altro continua a sostenere i costi per la difesa anche degli alleati europei e in parte subisce, rispetto alla propria valuta benchmark mondiale, la competizione dell’euro. È chiaro, quindi, che Oltreoceano si voglia cercare di riequilibrare la situazione. Applicando il Teorema di Coase, ritengo che si arriverà a una soluzione transattiva tra Stati Uniti ed Europa, che avrà sì dei costi, ma estremamente inferiori ai danni derivanti da un mancato accordo. Anche perché credo che dazi reciproci tra Usa e Ue non abbiano molto senso, trattandosi di economie correlate.

Non c’è il rischio che i singoli Paesi membri dell’Ue cerchino accordi bilaterali con Washington, anziché un’unica mediazione tramite Bruxelles?

È chiaro che gli Usa, a differenza dell’Ue, sono una realtà federale compiuta. Questo, dunque, porterà in Europa a spinte ad affrontare singolarmente la mediazione con Washington con il rischio di lasciare ai margini gli interessi generali dell’Unione. E questa, richiamandomi ancora al Teorema di Coase, è una pesante esternalità negativa. Ciò detto, a mio avviso l’Ue ha tutti i requisiti per trovare un’ottima intesa con gli Stati Uniti, anche perché c’è un interesse reciproco a proseguire un percorso comune.

Come verrebbero visti, sempre in ottica americana, rapporti più stretti con la Cina, che in qualche modo sembra che nell’Ue si stiano cercando?

Credo verrebbero guardati con legittimo sospetto, in quanto potrebbero portare vantaggi alla parte vista in questo momento come avversa. È bene che i rapporti tra Ue e Cina non siano improntati all’ostilità, ma penso che Washington chiederà garanzie agli europei, soprattutto per quel che riguarda la competizione tecnologica di cui ho parlato poc’anzi.

A proposito di tecnologie, l’Ue dovrà rivedere la sua impostazione industriale?

L’Europa ha delle notevoli eccellenze tecnologiche, ma per quanto riguarda AI e calcolo quantistico è in ritardo. Penso sia interesse dell’Ue effettuare investimenti in tecnologia. E l’esperienza insegna che quanto più si investe nella tecnologia militare, tanto più si ottengono anche importanti applicazioni in campo civile. Probabilmente la spinta a una difesa Ue più strutturata sarà un volano che genererà non solo più spesa, ma anche una maggiore attenzione alla tecnologia, un campo dove sono sempre più importanti le terre rare. Per quest’ultime, avendo perduto l’Africa, l’Ue dovrà guardare principalmente al suo interno, dove non mancano bacini importanti e sfruttabili.

Torniamo ai Brics, come valuta la sfida che hanno lanciato allo status internazionale del dollaro?

La Banca di sviluppo mondiale dei Brics utilizza come valuta di riferimento il dollaro. Già questo la dice lunga sulla velleità della loro sfida alla divisa americana.

La sfida tra G7 e Brics porterà anche a una competizione per contendersi i Paesi non allineati?

È ben vero che una competizione porta a cercare di portare dalla propria parte chi può consentire di superare l’avversario. Credo, però, che in questo momento sullo scacchiere mondiale gli schieramenti siano piuttosto definiti. I Paesi non allineati non sono tantissimi e sono prevalentemente situati in Africa, un continente piuttosto complicato, con cui non è semplice costruire una partnership o un’aggregazione di sistema.

(Lorenzo Torrisi)

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