Se con un’immagine si dovesse rappresentare quello che succede sul mercato del petrolio, forse un’opera teatrale, la commedia, sarebbe la più adatta. Con una precisazione però. Non sappiamo dire se sia tragica o a lieto fine, perché a mancare è l’esodo. Abbiamo il prologo, gli atti, ma appunto ci manca il finale. E non sappiamo nemmeno se avrà un lieto fine o un esito drammatico. Con un attore a rischio di rompere il palcoscenico e di far precipitare anche tutti gli altri attori.



Il prologo lo risparmiamo, è cosa nota, storia e letteratura sull’importanza del petrolio nelle nostre società, con le Sette sorelle, gli Stati del Golfo a partire, dinastie e dollari che da lì traggono la loro fortuna, perché il petrolio è il mondo. Ma ora entriamo nel vivo.

Primo atto. Nel club dei paesi grandi produttori nel 2009, a ridosso della crisi del 2008, entrano gli Usa con una tecnologia rivoluzionaria, il fracking, che permette di estrarre petrolio dallo scisto con tecnologie rivoluzionarie e nel 2019 gli Stati Uniti raggiungono lo storico traguardo di esportare il petrolio in quantità superiore all’Arabia Saudita. E i mercati vengono inondati di greggio.



Secondo atto. Arriva la pandemia da Covid-19 e l’economia del mondo si blocca. Avviene qualcosa di inimmaginabile solo pochi giorni fa. Milioni di persone chiuse in casa, aerei fermi, bloccati i trasporti, chiuse le fabbriche. Crolla la produzione, le stime di Pil delle locomotive del mondo, Cina, Stati Uniti, Germania, rallentano paurosamente, crollano i consumi delle famiglie e delle industrie.

Nel 2020 per la prima volta dopo la guerra si riduce il prodotto globale. Ma la produzione dell’oro nero non si ferma, continua. D’altronde fermare l’estrazione non è cosa semplice se non per Stati teocratici come l’Arabia. E i depositi si riempiono, si riempiono le grandi petroliere al largo delle raffinerie, gli enormi silos a terra in Texas, in Louisiana, in Ohio.



Immaginiamoci la scena, i grandi oleodotti americani non vanno più verso le raffinerie e i porti del Golfo del Messico, ma pompano verso Cushing, in Oklahoma, paesino sperduto di settemila anime nel centro degli States, snodo centrale di pipeline e di stoccaggio di petrolio scambiato poi al Nymex.

Entra il coro. Cioè abbiamo bisogno di una spiegazione. Il mercato del petrolio è qualcosa di estremamente complicato, tra andamento dei prezzi e realtà della domanda e dell’offerta vi sono nel mezzo per lo meno due livelli dove giocano un numero incredibile di attori. Innanzitutto gli Stati, a cominciare dalle Grandi potenze passando ai paesi produttori, e nel mezzo le compagnie petrolifere, il sistema bancario e finanziario. Questo fa sì che quello che succede sui prezzi non sia il gioco soltanto della domanda e dell’offerta, ma appunto un “grande gioco”.

Terzo atto. A causa della contrazione vertiginosa e imprevista della domanda – una cosa mai vista: meno del 30% – i prezzi in una situazione di mercato normale dovrebbero calare. Ma il petrolio non è una merce normale! Quel mercato è drogato, è il Capitalismo con la pistola in tasca e il sigaro in bocca. E’ il Potere vero. L’Arabia vuole un accordo per abbassare la produzione, ma Putin rifiuta. Così si scatena la guerra. Arabia Saudita contro Russia, Russia contro Usa e il suo shale oil.

I motivi sono diversi: Riad non può permettersi prezzi così bassi, deve finanziare il suo stato sociale, le sue riforme. Putin, invece, ha fatto il pieno di riserve e vuol cogliere la buona occasione per attaccare gli Stati Uniti. Perché i costi di produzione sono diversi da paese a paese. Il punto di pareggio Usa è il doppio, tra i 50 e i 60 dollari circa al barile, di quello saudita e la Russia si colloca a metà. E il principe saudita Ahmed Zaki Yamani ordina di aumentare la produzione di due milioni di barili al giorno, in un mercato già saturo, per stroncare i russi!

Quarto atto. Gli americani si risentono, battono i pugni sul tavolo contro i sauditi. A meno di 20 dollari al barile i loro produttori vanno a gambe all’aria. Il settore petrolifero Usa, nonostante i profitti, non gode di buona salute, è frammentato, super sussidiato, con un’esposizione finanziaria enorme. Ma dà anche lavoro a 323mila persone, le sue tasse finanziano alla grande gli Stati produttori. E quest’anno ci sono le elezioni presidenziali, che Trump vuole rivincere e non può reggere crisi sanitaria, economica e petrolifera assieme, sarebbe troppo anche per lui. Rilancia. Vuole comprare, vuole saturare le riserve strategiche del paese, o fornire altri aiuti di Stato alle compagnie, ma il Congresso a maggioranza democratica si oppone e con lui tutte le associazioni ambientaliste e anti-protezioniste. Perché finanziare i miliardari texani e non solo loro? Perché sostenere una produzione inquinante e per giunta distruttiva come il fracking?

Nel frattempo il presidente repubblicano mette tutti i paesi dell’Opec allargato intorno a un tavolo, convince a suon di dollari il riluttante Messico a tagliare la produzione del 20% (9,7 milioni di barili al giorno), ma a partire dal prossimo mese, da maggio. Forse poco e tardi. E intanto la speculazione fa affari d’oro, compra a prezzi stracciati, il barile oggi costa meno di uno di giugno, per vendere domani. Ma ecco, ancora, un altro cambio di scena.

Quinto atto. Arriva la tempesta perfetta. Scadono i futures di maggio sul petrolio in uno dei due mercati mondiali, appunto quello Usa dei Wti, e la scelta è drastica e semplice per l’Us Oil Fund che gestisce 3,8 miliardi di dollari, soldi di cittadini normali, e controlla (udite udite) il 27% delle posizioni aperte. Stoccare il liquido nero non si può più e dove poi? E allora si inonda il mercato di greggio e il prezzo crolla in un modo mai visto (ma non sul mercato Brent, né per i futures di giugno)!

Questo è quanto accade sul mercato, dove agisce una dinamica di forze contrapposte fatta di consumi bassi, un’offerta ancora alta e prezzi per molti produttori insostenibili.

L’altro gioco nascosto, ma nemmeno tanto, ci racconta una storia di un mercato falsato dagli oligopoli, di una finanziarizzazione dell’economia che distorce i fondamentali, di una produzione americana in parte diseconomica, super sovvenzionata alla faccia della libertà di mercato, del petrolio usato come arma dalla Russia per far saltare il banco, di una guerra tra potenze e di chi, nonostante tutto, riesce a fare business as usual.

Leggere il futuro non è semplice, certo è che nel caos mondiale si sono aggiunte nuove dinamiche il cui intreccio è pauroso. Crisi sanitaria, economica e sociale si stanno intrecciando e viaggiano a velocità spaventose, arrivando a minacciare il già precario equilibrio politico internazionale.

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