Tante cose stanno maturando nel mondo all’ombra del G20 di Osaka. I mercati, per la verità, non si aspettano svolte epocali sui dazi. Ecco come la vede Anz, la seconda banca australiana: “Ci aspettiamo un rinvio di nuove sanzioni, la Cina s’impegnerà ad acquisti negli Usa e si aprirà un tavolo di negoziati su brevetti e scambi di tecnologia. Ma la gigantesca distanza tra le parti resterà”. Ma, al di là della pur fondamentale partita sulle tariffe, il vertice promette di licenziare una nuova visione del mondo, sintetizzata da un’acuta e inquietante intervista di Vladimir Putin al Financial Times: la dottrina liberale, spiega il Presidente russo, è ormai obsoleta “perché va contro gli interessi della maggior parte della popolazione”.



Putin si qualifica così come il padrino del sovranismo contro l’immigrazione, la caduta delle frontiere e il multiculturalismo, figli di una stagione del liberalismo andato in crisi “irreversibile” dopo, secondo ancora Putin, la fallimentare politica di apertura verso i profughi siriani praticata da Angela Merkel. “Da allora i liberali non possono più dettare l’agenda politica del mondo come hanno fatto negli ultimi decenni”, cioè dalla scomparsa dell’Unione Sovietica che per Putin, vecchio agente del Kgb, “resta la grande tragedia del XX secolo”. Si può dissentire con il Presidente, gonfio d’orgoglio per i successi militari in Siria, ma si può capire la sua soddisfazione per la crisi del liberalismo, sotto attacco negli Usa di Donald Trump, dell’Italia di Matteo Salvini per non parlare di Viktor Orban o del Regno Unito ai tempi della Brexit. Ma il fenomeno non si ferma all’Occidente.



Prendiamo il caso della sconfitta elettorale di Erdogan a Istanbul battuto da Ekrem Imamoglu anche nel distretto di Fatih, il cuore conservatore della capitale dove il sultano Mehmet fece costruire la prima moschea dopo la conquista e dove cinque anni fa il presidente aveva trionfato con oltre 43 mila voti di distacco. Ma da allora decine di migliaia di rifugiati siriani si sono insediati nel distretto, destabilizzando l’equilibrio antropologico, sociale ed economico della municipalità. Con conseguenze dirompenti.

Da Fatih alla Sea Watch i flussi migratori non governati mettono a rischio gli equilibri politici oltre ai più elementari principi di solidarietà, indeboliti dalla crisi dei ceti medi dell’Occidente che cerca sicurezza, uomini forti e soluzioni semplici. E così Carola Rackete, moderna Antigone, oggi soccombe alla retorica della paura. E i tremori di Angela Merkel, che arriva stremata alla fine della sua lunga stagione di governo, rappresenta l’immagine fisica della fine di un mondo che, comunque lo si giudichi, assieme alla globalizzazione, ha allargato la sfera del benessere.



Qual è la conseguenza? Il mondo si va segmentando, ovunque si alzano muri e barriere e la porosità dei confini viene gradualmente meno. Se si guarda dentro la sfera di cristallo si vede una situazione che ricorda da vicino gli anni Settanta: cortina di ferro o di bambù, repressione finanziaria e grandi disavanzi pubblici, quindi aumento della pressione fiscale (alla faccia di annunci mendaci) e segregazione dei mercati oggi aperti a partire dalle Borse. Non ci sarà spazio per il calo delle tasse a fronte dell’aumento delle spese, comprese quelle per i muri a difesa delle roccaforti della ricchezza. Una parte di queste spese aggiuntive sarà in deficit, un’altra parte sarà raccolta con imposte, a partire dalle transazioni finanziarie.

Andrà così? Le sfere di cristallo, per lo più, ingannano. Ma servono a prevenire il peggio. Senza dimenticare che il mito di Antigone ha dimostrato di essere inaffondabile.