Dopo “l’accordo” tra Cina e Stati Uniti possiamo smettere di preoccuparci di questo scontro commerciale per un po’ e nel frattempo chiederci se sia o meno una tregua. Invece da subito, giustamente, dobbiamo chiederci se e quando gli Stati Uniti sposteranno la propria attenzione sull’Unione europea. Per inquadrare la questione prendiamo a prestito le parole dell’editorialista del Financial Times Munchau: l’Amministrazione americana sta minacciando l’Unione europea di imporre dazi sulle importazioni di auto; “questo è possibile perché l’Unione europea si è resa vulnerabile a causa di enormi e continui surplus commerciali”. “Ora la Cina minaccia restrizioni sulle importazioni di auto tedesche”. “Il mondo ha scoperto che è facile ricattare la Germania e l’Ue a causa della sua dipendenza da esportazioni nette”. Qualunque cosa si pensi del post-Lehman e delle politiche monetarie quello che sappiamo è che il mondo, e l’Unione europea, è stato salvato dal consumatore americano e che nel 2011/2012 il sistema economico europeo, già con il fiatone, ha potuto dare un calcio al barattolo grazie alla super-svalutazione dell’euro seguita alla crisi dei debiti sovrani.
Gli Stati Uniti però non si possono più permettere di “perdere” sul tavolo dei rapporti commerciali con l’Unione europea decine di miliardi di dollari all’anno. I deficit gemelli americani sono già insostenibili e un sistema così aperto e con questi squilibri danneggia ovviamente il “lavoratore” americano. Che la Germania competa con una valuta che non è la sua continuando a macinare surplus fuori da ogni logica è ormai un’evidenza. Che l’Unione europea sia in debito commerciale con gli Stati Uniti anche; oltretutto non molla regole fiscali e monetarie che le altre macro-aree hanno abbandonato da un pezzo. Gli Stati Uniti potevano chiudere un occhio quando l’agenda di politica economica ed estera europea era allineata e in qualche modo subordinata, ma oggi tantissimi segnali ci dicono che la situazione è cambiata. Non è che l’Europa sia diventata più forte, è che il centro franco-tedesco si sta spostando verso la Cina. L’intervista ad Angela Merkel sul Financial Times è indicativa in questo senso. La costruzione del Nord Stream 2 a un multiplo del costo che avrebbe avuto passando dalla Polonia è un fatto. La posizione tedesca su Huawei anche. La Germania, e in un certo senso tutta l’Europa, ha potuto commerciare con tutti senza pagare “geopoliticamente”, ma lo scenario è cambiato.
L’Europa avrebbe dovuto reagire al 2008 in altro modo e invece oggi ha accumulato un ritardo enorme. Interi pezzi dell’Unione, Spagna, Portogallo, Grecia e Italia, hanno visto distrutto il loro mercato interno che è anche il mercato interno europeo; colpa loro? Probabilmente sì, ma anche colpa di un’unione disfunzionale che ha consentito il surplus commerciale interno tedesco. In sostanza l’Europa è ricattabile e non riesce a cambiare. Allora la questione diventa come pensa di continuare a “fregare” gli Stati Uniti decidendo su questioni geopolitiche chiave in aperto contrasto. L’unica spiegazione è che tra i due contendenti la scelta sia caduta sulla Cina. O che si sia accettato che si prosegua verso quella direzione fino al punto di non ritorno. Una scelta che solleva qualche dubbio “politico” e persino “economico” perché il sistema cinese è molto più chiuso di quello americano che rimane più importante per gli europei.
Per l’Italia, storico alleato americano, non c’è alternativa che quella di seguire l’Europa verso la Cina se non uscendo dall’unione o rimanendo in posizione molto critica e scomoda dentro; uno scenario che oggi non vuole nessuno. La pena del contrappasso è quella di diventare una colonia europea perdendo pezzi di sovranità reale fino a cessioni impensabili. L’unica variabile è cosa faranno gli Stati Uniti, se mai rinsaviscono, di fronte allo scivolamento dell’Unione europea verso la Cina. Sempre ammesso che il processo di colonizzazione italiano non sia già finito o sia già irreversibile.