Ieri il prezzo del petrolio ha toccato i minimi dal 2003 in una discesa che sembra non avere fine. Certo la diffusione del coronavirus e il blocco di una porzione di economia globale in continua crescita sta causando un collasso della domanda di petrolio senza precedenti, ma sotto la superficie c’è altro. Il petrolio non è una materia prima come le altre, il petrolio è geopolitica e legami finanziari come nessuna altra commodity. Il motivo per cui continua a scendere scavando devastazioni nei budget statali di molti Paesi non è all’apparenza razionale. È infinitamente meglio vendere di meno allo stesso prezzo o con un calo del prezzo controllato che assistere a crolli dei prezzi di questo tipo. Nessun operatore avrebbe interesse a subire quello che si sta assistendo e anzi avrebbero l’interesse a tenere in piedi il cartello e limitare la caduta.



Questo non accade perché le motivazioni economiche di breve periodo non sono le uniche in gioco. È in atto una guerra, all’interno della “guerra” del coronavirus. La vittima di questa guerra, sicuramente da parte russa, è il petrolio e il gas americano che hanno cominciato ad arrivare in mercati che erano sempre stati “russi”. La leva politica del gas o del petrolio importati dall’Italia o perfino dalla Polonia piuttosto che dalla Russia è di grande importanza. Per la Russia si tratta di perdere quote di mercato in modo permanente e anche ovviamente importanza geopolitica.



La questione è talmente in questi termini che una delle ipotesi che si è fatta strada negli ultimi giorni è che gli Stati Uniti, per difendere il proprio settore, impediscano le importazioni da certi mercati. Sono evoluzioni che possono causare grandissime tensioni geopolitiche. Il gasdotto South Stream è stato per esempio cancellato perché si voleva impedire che il gas russo arrivasse in modo troppo facile e diretto in Europa. Esattamente come gli Stati Uniti cercano da anni senza successo, grazie all’ostinazione tedesca, di impedire che la costruzione del Nord Stream saldi l’economia tedesca, ed europea, a quella russa. Una saldatura che per l’importanza della materia prima non potrà mai essere “solo” economica.



Questa guerra del petrolio mette sotto forte stress finanziario, e quindi politico, molti Stati e molti settori di importanza vitale. In questa fase si testa la capacità di sopportazione e in un certo senso la capacità di reagire geopoliticamente alla sfida. In questi giorni abbiamo visto formazioni navali vicino all’Iran e ordini di cattura di Paesi produttori come il Venezuela. Anche nella “solidissima” Russia sotto traccia emerge grande nervosismo per quello che sta accadendo. Il prezzo del petrolio certo potrà beneficiare di un rimbalzo della domanda se e quando il mondo potrà tornare, più o meno, a una vita normale, ma allo stesso modo potrà beneficiare di un accordo tra produttori che, presumibilmente, prevederà quote di mercato, quote di produzioni e forse anche aree di influenza.

Si spera che la guerra del petrolio (gas incluso), un mercato che vale qualche migliaia di miliardi di dollari all’anno, non diventi qualcosa di più serio.