Da tempo circola nei think tank un’ipotesi chiamata Strategia del Kissinger inverso: Henry Kissinger negli anni 70 staccò la Cina dalla Russia, depotenziando la seconda, e ora sarebbe vantaggioso staccare la Russia dalla Cina per geocircondare la Cina stessa e così condizionarla per ridurne l’aggressività. Da simulazione per addestrare i giovani dottorandi di ricerca in scenaristica strategica e geopolitica economica (nonché gli strumenti di intelligenza artificiale per vedere più cose) tale ipotesi sta diventando un oggetto di studio realistico perché compatibile con il pensiero strategico della futura (in carica dal gennaio 2025) Amministrazione Trump. Valutiamo.



Nel libro “La grande alleanza” (2006, in Italiano, 2007 in Inglese) proposi di includere la Russia nella strategia del G7 (ai tempi ancora G8 con dentro Mosca) per limitare un emergere divergente e pericoloso sul piano globale della Cina autoritaria. L’idea era quella di geocircondare la Cina e mancava una Russia convergente con le democrazie per riuscirci. La realtà andò verso un’altra direzione: la crisi finanziaria del 2007/08 indebolì le democrazie e l’America chiese alla Cina di agire come locomotiva della crescita globale. Sostituì nel 2009 il G7 con un G20 in realtà G2, cioè ipotesi di co-governo sino-americano del pianeta.



Poi nel 2013 l’Amministrazione Obama si accorse dell’errore, ma ne fece un altro: cercò di costruire due aree di mercato, nel Pacifico e nell’Atlantico, amerocentriche che escludessero Cina e Russia. Pechino reagì con una strategia geoeconomica simmetrica contraria: la Via della seta. Mosca non aveva tale potenza e nel 2014 accese la guerra in Ucraina poi esplosa nel 2022. L’errore fu quello di rendere necessario a due potenze che si odiavano convergere contro il G7 generando così una forza capace di competere con la superiorità statunitense.

Nel 2017 l’Amministrazione Trump, con consenso bipartisan, dichiarò la Cina un nemico. Ma restò ambigua con la Russia dando motivi a Mosca per un’alleanza, pur sofferta, con la Cina. Ora torna ad affacciarsi l’idea che per sconfiggere il blocco autoritario mondiale l’alleanza delle democrazie deve/dovrà staccare Russia e Cina. Perché e come?



Il perché è facile. L’America, pur superpotenza, non può più reggere fronti multipli di ingaggio militare e deve concentrarsi sul fronte del Pacifico per fronteggiare una Cina che è a pochi “anni tecnologia” di distanza e sta attuando un riarmo molto rapido. Pertanto Washington ha interesse a ridurre l’ingaggio contro la Russia e il fronte dell’Artico. La Cina sta già pressando Mosca per operazioni congiunte su quel lato. Inoltre, dagli analisti specializzati viene il sospetto che Pechino voglia creare segretamente frizioni multiple con l’America per costringerla a spendere di più in operazioni di presidio – per esempio lasciando che l’Iran dia luce verde ad Hamas per provocare Israele costringendola a una reazione violenta – che non in investimenti militari futurizzanti di superiorità.

Gli europei sono imbelli e anche se hanno iniziato un riarmo ci metteranno non meno di un decennio per poter provvedere alla sicurezza regionale di loro competenza. Sapendolo, l’America è costretta a chiudere il conflitto in Ucraina e a ottenere una prima divergenza sino-russa, non ancora totale, ma sufficiente per non rendere Mosca strumento del potere cinese. Ma avrebbe Mosca interesse a un congelamento del conflitto e a posizioni meno filocinesi?

Al riguardo del congelamento è sicuro: la Russia implode se continua con un’economia di guerra su una base economica già debole. Al riguardo delle relazioni con la Cina ci sono indizi di frizione. L’accordo per due gasdotti Siberia/Cina irrita i russi perché i cinesi vogliono pagare poco in quanto più forti. Pechino si sta preparando da molto tempo a mettere sul libro paga i responsabili regionali della parte siberiana della Federazione russa e sta mandando ondate di migranti verso la zona di Vladivostok e altre. Poi certamente si sta preparando, silenziosamente, a sostenere un nuovo leader filocinese se Vladimir Putin venisse meno.

Mosca fa finta di niente perché ha la priorità di uscire dall’isolamento, ma sembra che cominci a reagire. Per esempio, l’accordo con la Corea del Nord appare come sostegno per l’impegno bellico in Ucraina e lo è. Ma è anche un segnale che ha inquietato i cinesi che hanno notato l’entusiasmo di Pyongyang nelle nuove relazioni con Mosca. Pechino vede la Corea del Nord come strumento di deterrenza nucleare che poi le permetta di fingere di far da paciere. Ma sta anche valutando che un missile nucleare nordcoreano ci mette due minuti a colpire Pechino. Queste sono speculazioni che si basano su segnali ambigui e quindi non hanno lo status di un fatto. Ma non possono essere ignorate. In sintesi, se Putin vedesse uno scambio non svantaggioso con l’America avrebbe motivi per almeno limitare la convergenza con Pechino.

L’Ucraina? Kiev non potrà riconquistare i territori perduti e Mosca non ha la forza per andare oltre il Donbas. Bisogna trovare un premio per Kiev affinché accetti un compromesso. E anche per Mosca. Potrebbe sembrare fantapolitica, ma ci sono condizioni prenegoziali. La Nato? Continuerà a esistere, rinforzata dall’adesione di Svezia e Finlandia, utile per l’Artico, ma oltre che a mantenere una capacità di dissuasione verso la Russia ha una missione più importante unendosi all’alleanza delle democrazie del Pacifico e tenendo d’occhio l’Asia centrale.

Questi sono solo cenni di un’ipotesi che però non è irrealistica. Anche perché portatrice di grande vantaggio finanziario e beneficio esistenziale per gli innocenti russi e ucraini oltre ad essere – questo il punto – una strategia per mettere la briglia alla Cina autoritaria.

www.carlopelanda.com

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