Occorre una dose di malafede notevole per fare ciò che l’Europa ha deciso mercoledì mattina. Perché questa volta le parole e la forma contano. Esattamente quanto la sostanza. Votare a larga maggioranza una risoluzione che definisce la Russia come uno Stato sponsor del terrorismo va al di là della stupidità conclamata che è tratto distintivo dell’emiciclo di Bruxelles e dei suoi componenti. Si sprofonda nella codardia e nella mancanza di riconoscenza. Perché esattamente come certa retorica da discount richiama al salvifico intervento alleato ogni successo nella Seconda guerra mondiale, scordandosi chi sfondò fisicamente i cancelli di Auschwitz liberandone i prigionieri ancora vivi, così occorre davvero una povertà d’animo sconsolante nello scordare chi, mentre l’Europa tremava come un bimbo impaurito, ha deciso che l’Isis in Siria andava trattato in un solo modo: preso di petto. Ed eliminato. Non c’erano marines ad assolvere questo sgradevole (e mortale) compito, c’erano – insieme alle milizie siriane – soldati russi e membri di Hezbollah. Più una buona componente di logistica cinese.
Perché l’Europa è bravissima a inventarsi gli hashtag e accendere candeline dopo serate come quella del Bataclan, un po’ meno a dire grazie a chi le toglie le castagne dal fuoco. Di per sé, già un tratto distintivo degno di disprezzo. Ma arrivare a definire sponsor del terrorismo chi quel terrorismo ha contribuito grandemente a ridimensionarlo, in Cecenia come in Siria, varca veramente frontiere di infamia insospettabili. E a chi strepita per i diritti umani, ricordo due soli nomi: Guantanamo e Abu Ghraib. Persino per l’Europa si è varcato il limite, insomma. E stupisce davvero, perché solitamente i codardi pensano pragmaticamente in prospettiva, essendo privi del benché minimo concetto di onore e del coraggio necessario: siamo certi che non capiterà un’altra Aleppo? Siamo certo che non torneranno i tempi dei video con le decapitazioni o le gabbie con i prigionieri bruciati o le bombe nelle stazioni in Europa? Oppure, finalmente, si squarcerà il velo delle responsabilità (e dei fondi) riguardo la nascita di certi Frankenstein della destabilizzazione che poi, come sempre, vanno fuori controllo e decidono di ribellarsi al professore pazzo?
Pensate che la Russia, d’ora in avanti, muoverà più un dito per noi? Certo, se il problema è ancora quello di credere alla narrativa idiota che vorrebbe i medici di Mosca inviati a Bergamo sotto la copertura della lotta al Covid per carpire chissà quale segreto alla giunta Gori, allora potete stare tranquilli. E pensare che ci penserà Zio Sam a proteggerci le terga. Altrimenti, fossi in voi mi informerei un po’ più approfonditamente su cosa sta accadendo in perfetta contemporanea con quel voto ignobile. Al netto dell’ormai conclamata necessità di Federica Sciarelli e del suo programma per trovare traccia dell’eroica resistenza ucraina che avrebbe dovuto spezzare le reni al Cremlino, dopo le vagonate di retorica legate alla ritirata da Kherson, sapete cosa battevano le agenzie di stampa estere, mentre l’Europarlamento sproloquiava sulla Russia? Le dichiarazioni di Recep Erdogan, il quale non solo confermava l’imminente operazione di terra in Siria. ma si permetteva anche il lusso di sottolineare come questa avrà come unica stella polare a livello di tempi e modi, la convenienza strategica per la Turchia.
Insomma, prepariamoci a un bel massacro per consentire alla Mezzaluna di sventolare di nuovo su Kobane. E i curdi, al pari di russi ed Hezbollah martiri della guerra contro l’Isis? Danno collaterale. Partendo dal presupposto che il 90% degli europarlamentari ritengano Kobane un piatto tipico giapponese, vi invito a una riflessione utilitaristica fino alla vergogna. L’Europa non è forse la stessa entità politica che in queste ore pare avere come unica priorità la rimodulazione del contrasto all’immigrazione clandestina e della politica di accoglienza e ripartizione? Pare di sì. Bene, al netto di questo, vi pare normale che da Bruxelles non arrivi un fiato – non dico di condanna ma quantomeno di preoccupazione – rispetto alle parole di Recep Erdogan?
Al netto della sovranità siriana e del destino dei curdi, i quali non essendo ucraini possono morire senza dare troppo disturbo, avete idea in cosa si tradurrebbe l’emergenza umanitaria che grava sull’Europa con un’operazione di terra della Turchia in Siria? E non solo via mare attraverso l’Egeo o le rotte che portano ai porti del Nord Africa ma anche attraverso i Balcani, quindi creando disturbo al Nord Europa. E ricordate cosa avvenne in Germania con il primo esodo di massa dei siriani? Ricordate il prezzo politico che pagò Angela Merkel alla sua scelta di accogliere quei profughi in massa? Bene, applicate questo scenario potenziale non più a quell’Europa, ma al simposio di nani politici attualmente al potere: shakerate bene e assaggiate il cocktail, vedrete che in bocca vi resterà un sapore tutt’altro che gradevole.
Viene quindi da chiedersi quale sia la ratio che muove le scelte delle istituzioni europee, a parte stupidità e autolesionismo. Forse, servilismo. Perché la mossa di Recep Erdogan serve unicamente per innescare una reazione a catena che trasporti nel conflitto globale in atto – e di cui l’Ucraina rappresenta solo il warm-up – il vero bersaglio. Ovvero, l’Iran. Casualmente, proprio ora che è attraversato da proteste e a fortissimo rischio di compiere l’errore fatale di ricorrere a una repressione di ampio raggio che potrebbe sostanziarsi nella Tienanmen persiana. A quel punto, l’effetto Milosevic sarebbe dietro l’angolo. Esattamente ciò che vogliono Usa, Israele e Arabia Saudita. La quale, non a caso, dopo aver fatto fronte comune con la Russia in sede Opec+, tagliando la produzione di greggio, ora pare intenzionata a garantire una linea di credito alla Turchia attraverso il deposito da 5 miliardi di dollari presso la Banca centrale di Ankara. Praticamente, Ryad sta salvando da morte economica certa l’economia turca e la lira, stante un’inflazione al 70% e riserve ormai prossime al fondo da raschiare. Detto fatto, Recep Erdogan annuncia la campagna di Siria. E nulla come una guerra è in grado di generare cortine fumogene interne, soprattutto in un Paese a forte vocazione nazionalista e con le elezioni generali il prossimo giugno.
Unendo bene i puntini, ponetevi una domanda: chi è già oggi il potenziale dominus del destino dei flussi migratori verso l’Europa? Lo stesso Recep Erdogan che ci ricatta in tal senso da almeno un decennio. Questa volta, però, con un’aggravante: l’ok Nato alla sua decisione di riconquistare Kobane. Quindi, il Sultano non solo potrà scatenare la tempesta ma anche gestirne gli effetti e le conseguenze, perché sarà sempre Ankara a direzionare i flussi di profughi. Aprendo o chiudendo le sue frontiere. E, come sempre, il discrimine sarà solo il prezzo.
Possibile che l’Europa non capisca? O, forse, non vuole capire? Certo, votare mozioni scritte dal Dipartimento di Stato è più facile. Occhio alle conseguenze, però.
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