Lo sbarco su Marte del rover cinese Zhurong, trasportato dalla sonda Tianwen-1 – dal nome della poesia di duemila anni fa “Domande per il paradiso” – ha catturato l’attenzione del grande pubblico, che ha oscillato fra l’entusiasmo di chi celebrava le virtù del programma spaziale cinese, capace di raggiungere Marte al primo tentativo, e chi vedeva nella missione su Marte una risposta all’isolamento che Pechino ha iniziato a patire dopo l’inasprimento delle sanzioni per la violazione dei diritti umani della popolazione uigura e quindi per la sospensione del Comprehensive Agreement on Investment (Cai).
In realtà, ciò che molti analisti ignorano, o fingono di ignorare, quando si limitano a prendere atto che la Cina è diventata una superpotenza spaziale, è l’evidenza che la competizione geopolitica ha un nuovo fronte, che nei prossimi anni è destinato a divenire strategicamente sempre più rilevante.
Se è vero che dal punto di vista strettamente ingegneristico lo sbarco su Marte compiuto da una sonda comprensiva di un orbiter, un lander e un rover costituisce un successo indiscutibile, che ha addirittura meritato il plauso della Nasa, sul piano della competizione geopolitica rende palese una realtà in cui la competizione tecnologica non ha più limiti e che ha nel settore aerospaziale il campo strategicamente più rilevante.
A testimoniare il reale valore della partita in gioco, va evidenziata l’incrollabile volontà dei cinesi di consolidare continuamente il proprio ambizioso programma spaziale, che ha subìto relativamente poche battute d’arresto da quando, cioè, ha messo in orbita per la prima volta un astronauta nel 2003 e che ha saputo riprendersi in poco tempo dal fallimento di una versione precedente del missile Lunga Marcia 5B. Un programma spaziale gestito da un’efficiente tecnostruttura, il Dipartimento generale dell’Armamento, autonoma nelle scelte tecniche, ma direttamente sottoposta alla Commissione militare centrale del Partito comunista, che punta a strutturare una strategia in cui militarizzazione della competizione tecnologica e supremazia nello spazio sono le due facce di un’unica medaglia.
La natura intrinsecamente “duale” delle tecnologie impiegate nel settore aerospaziale, che possono riguardare l’ambito civile quanto quello militare, si misura anche sull’impatto strettamente economico che ha la strategia spaziale cinese. Puntando alla propria sovranità tecnologica, la Cina si è resa autonoma dalle catene del valore globali, rendendosi indipendente dagli approvvigionamenti delle imprese straniere. Un programma non dissimile da quello di altri paesi, come ad esempio l’India, che aspira al ruolo di protagonista del settore, che si basa su una strategia industriale integrata che gli ha permesso “risalire” la catena del valore, passando da fornitori di componenti e sottoinsiemi a fornitori di interi insiemi integrati per l’industria aerospaziale globale.
Il programma spaziale nella volontà del governo cinese rappresenta il game changer per eccellenza con cui riconfigurare a proprio vantaggio i rapporti di forza e raggiungere la superiorità tecnologica. Una competizione “senza limiti”, per parafrasare il libro di due colonnelli, non a caso dell’Aeronautica, cinesi che hanno teorizzato la natura “rivoluzionaria” e intimamente tecnologia dei conflitti futuri, i cui esiti sono al momento imprevedibili.
Uno scenario in cui politica di potenza, ricerca spasmodica di tecnologie disruptive e competizione economica sono intimamente connessi, che ha nella nuova “corsa allo spazio” il suo campo d’elezione. Come ha fatto osservare Marcello Spagnulo, nel volume “Geopolitica dell’esplorazione spaziale”, stiamo assistendo a un inedito dualismo spaziale, i cui effetti si riverberano sulle alleanze terrestri.
Non è un caso che proprio in questo ambito la Cina e la Russia si siano fortemente avvicinate, avviando un accordo di cooperazione che punta a realizzare un ambizioso progetto che porterà alla creazione di una base lunare che funga da centro di ricerca scientifica verso nuove risorse naturali, mentre la Ue procede in ordine sparso, con la Francia e la Germania più intente a contendersi la leadership a livello continentale che a definire un’autonoma strategia comune europea
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