La Giornata mondiale dell’ambiente ha visto tornare per le strade per un Friday molti seguaci di Greta (in Italia, talora, con i primi monopattini acquistati con gli incentivi pubblici post-coronavirus). Ma Greta, venerdì scorso, non si è vista o sentita: salvo lanciare un tweet di appoggio alla campagna politicamente corretta del momento, innescata dalla questione razziale negli Usa in vista delle presidenziali di novembre.
Un tentativo di inserirsi in chiave ecologista nel dibattito sulla pandemia, la 17enne svedese, lo ha fatto: con un’intervista alla Cnn, tre settimane fa (in precedenza aveva comunicato di aver sofferto dei sintomi del “corona”). Ma ha avuto rimbalzi più ironici che polemici: anzitutto per l’ennesimo endorsement rituale per la “scienza”, pur in un momento di pauroso discredito, sia per i misteri dei laboratori di Wuhan, sia per il circo mediatico dei virologi mentre il covid mieteva migliaia di vittime. Non da ultimo, Greta parlava da Stoccolma, capitale del solo Paese al mondo che ha voluto percorrere fino in fondo una risposta “ecologista” all’epidemia. E che ha invece fornito l’ultima conferma di quanto il virus sia ben altro che una “banale influenza”.
La fiducia nella strategia dell'”Immunità di gregge”, in Svezia, è stata fortemente intrisa di libertarismo ideologico: di disprezzo élitario per l’autoritarismo implicito delle politiche di lockdown perseguite in Cina come negli Usa, nell’Europa continentale come in Gran Bretagna, dopo la rapida conversione di un Premier che ha rischiato la vita. È stato curioso, comunque, osservare in parallelo la “resistenza” svedese al coprifuoco e le pressioni e proteste registrate in tutto il mondo da parte di forze economiche insofferenti alle chiusure. Di quel capitalismo industriale (ma anche dei suoi lavoratori) che non chiedeva altro che di poter tornare a produrre, interrompendo la “magica” ritirata dell’inquinamento.
Ancora, l’approccio svedese ha nuovamente tradito un radicamento socioculturale profondo nel protestantesimo: la scarsa considerazione per la vita degli anziani. L’adolescente Greta, non a caso, ha già riconvertito da tempo la sua causa verde a tutela dei bambini in un pianeta ormai sovrappopolato. In cui i più vecchi possono essere evidentemente accompagnati fuori dalla vita, con benefici per i sistemi di welfare e, perché no, anche per gli equilibri climatici.
Chissà se tutti i pedalatori del venerdì condividono l’ineluttabilità “socio-ambientale” di una “pulizia generazionale” indotta da un virus “naturale”. Chissà se hanno chiaro che la “scienza” che sta entrando in campo per cancellare al più presto il Covid-19 è quella di Big Pharma. Chissà se sono favorevoli o contrari a che gli investimenti che – sulla carta – i leader internazionali avevano promesso a Greta, siano ora dirottati per sorreggere subito centinaia di milioni di abitanti del mondo rimasti senza lavoro e senza reddito, in attesa di essere vaccinati. Per ricreare sviluppo, education e lavoro: anzitutto per i giovani (a cominciare dai “gretini”).
Chissà se i seguaci di Greta – osservando il sostenibile tramonto della loro profetessa – rifletteranno sul fatto che le cosiddette “élite” incolpate di “diseguaglianze” in tutto il pianeta (ormai anche in Cina) comprendono anche le loro minoranze di giovani privilegiati: destinati – spesso intenzionati – a rimanere tali. Anche attraverso il professionismo, presto appreso e praticato, della difesa delle cosiddette “buone cause”. Che spesso sono “buone” proprio perché – pedalata dopo pedalata, show dopo show – non vengono mai risolte nella realtà.