L’ennesima fase di tensione nelle relazioni fra Italia e Francia merita qualche riflessione estesa. L’assenza della Premier Giorgia Meloni al vertice di Alicante fra i Paesi Ue che si affacciano sul Mediterraneo ha avuto come motivo contingente ufficiale uno stato influenzale improvviso, ma questo non ha evitato un riflesso politico-diplomatico non banale. A confermarlo è stata la chiamata del Premier (socialista) spagnolo Pedro Sanchez al Premier italiano. “Il rapporto con l’Italia è fondamentale”, ha fatto sapere Sanchez, chiaramente preoccupato che un suo silenzio di Premier-ospite di Euromed fosse mal interpretato come un tacito allineamento con il malumore aperto e insistito di Parigi verso Roma e con la chiusura di principio alla ridiscussione degli accordi di Dublino, sollecitata invece da numerosi Paese dell’Unione.



Era stato d’altronde il Presidente francese Emmanuel Macron a ri-escalare le tensioni con il Governo italiano, negando con toni sbrigativi  che ad Alicante fosse in programma un bilaterale di chiarimento con Meloni e chiedendo anzi spiegazioni sul mancato accoglimento di un (presunto) invito dell’Eliseo per un summit fra i due leader a Parigi. Un appuntamento che palazzo Chigi ha negato fosse ufficialmente in discussione d’agenda.



Ufficialmente, di un “chiarimento” fra Parigi e Roma vi sarebbe ancora necessità per la querelle sui migranti da Nordafrica: su cui il nuovo esecutivo italiano ha riacceso i fari in sede Ue, negando alcuni sbarchi, in parte dirottati (ma non completamente accolti) dalla Francia. Non ha comunque sorpreso che – a nuova crisi in corso – il ministro degli Interni italiano abbia momentaneamente riaperto i porti ad alcune navi delle Ong. Una mossa articolata: non priva di riflessi interni alla coalizione di destra-centro, ma rilevante anzitutto all’esterno. Palazzo Chigi punta chiaramente a una distensione tecnica delle relazioni con la’Ue, togliendo dal tavolo un dossier politicamente meno importante, in questa fase, della crisi dell’energia, del progress del Pnrr italiano e dell’avvio della riscrittura dei parametri di Maastricht.



A proposito del futuro dell’Europa – e dell’Italia nell’Ue e del caso Meloni-Macron – si è aggiunto però dell’altro, molto altro. La mattina del vertice di Alicante, per quanto ufficialmente malata, Meloni ha co-firmato un importante annuncio assieme al Premier britannico Rishi Sunak e a quello giapponese Fumio Kishida. Roma, Londra e Tokyo hanno ufficialmente deciso di unire le forze nel progetto di un nuovo aereo militare: un caccia supersonico di cosiddetta “sesta generazione” che  dovrebbe essere operativo dal 2035.

L’iniziativa trilaterale nasce sulle ceneri di un progetto europeo naufragato: quello che avrebbe dovuto sostituire Eurofighter Typhoon, un intercettatore vecchio ormai di 40 anni. Vi avevano iniziato a lavorare Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, ma il progetto si è arenato in molte secche, non ultima certamente la Brexit. La britannica Bae System ha però mantenuto in vita lo sviluppo del caccia, tenendo agganciata l’italiana Leonardo. Già al salone dell’aeronautica di Farnborough, lo scorso luglio, erano giunti segnali precisi da Bae System sulla volontà di procedere con “Tempest”, assieme a Leonardo. Cinque mesi dopo è giunta la svolta della fusione con iil progetto giapponese F-X.

“Collaborando in spirito di partnership fra eguali – hanno affermato Kishida, Meloni e Sunak – condivideremo costi e benefici di un investimento nelle nostre persone e tecnologie. Il programma andrà a sostenere in misura importante la capacità sovrana dei tre Paesi di progettare e realizzare sistemi di combattimento aereo d’avanguardia”. L’approccio geopolitico appare trasparente e intenzionale.

A quasi un anno dallo scoppio della guerra russo-ucraina e della parallela escalation di tensione fra Cina e Taiwan, Gran Bretagna, Giappone e Italia mettono sui binari un progetto strategico di riarmo: con un profilo nettamente più importante e strutturato del puro effetto-annuncio della Germania su 50 miliardi di nuovi investimenti nella difesa.

A nessun osservatore internazionale è sfuggito comunque il non trascurabile impatto diplomatica generato dal “Nuovo Tempest”. Dei tre nuovi partner uno appartiene all’Ue (ma si è mosso in modo autonomo da Bruxelles), il secondo è appena uscito dalla Ue, il terzo è non-europeo. Tutti e tre i Paesi vantano legami solidi con gli Usa (Meloni li ha appena ripristinati incontrando il Presidente Joe Biden al G20 di Bali). Tutti e tre hanno posizioni nette sulla “Nuova Guerra Fredda”:  Londra e Roma contro l’aggressione  Vladimir Putin a Kiev; Tokyo sui pericoli dell’espansionismo della Cina di Xi in Asia.

I tre partner di Nuovo Tempest hanno – nei fatti – segnalato il progresso di una rapida ricostruzione in corso della Nato, cui sembra contrapporsi una parallela de-costruzione dell’Unione europea. E non ci sarebbe da stupirsi se l’improvviso riverbero di ostilità francese verso Roma fosse stato legato a questo. A Parigi, fra l’altro, brucia ancora lo schiaffo ricevuto quattordici mesi fa da “Aukus”, il nuovo patto militare fra Usa, Gran Bretagna e Australia. Per la Francia ha segnato la cancellazione – finanziaria e diplomatica – di un importante ordine di sommergibili da parte di Canberra. Ma soprattutto l’emarginazione dai riequilibri politico-militari di un’area in cui Parigi conta ancora “territori d’Oltremare” e ambizioni da grande potenza. Di fatto “Aukus” è il cantiere orientale di una “Grande Nato” ormai in gestazione sull’originario asse atlantico.

L’Italia si ritrova così socio fondatore della  “Nato 2.0” dopo essere stata ammessa nella Nato 1.0 alla sua fondazione nel 1949, pur da Paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale. Troppo importante sulla mappa geopolitica la grande penisola mediterranea proiettata verso Africa e Medio Oriente. La Francia – Paese formalmente vincitore nel 1945 – aderì al primo Patto atlantico, uscendone però nel 1966. Solo nel 2009 Parigi si è riportata sotto il comando Nato (partecipando attivamente all’operazione militare straordinaria contro la Libia nel 2011). La Germania entrò invece nel sistema di difesa euramericano solo nel 1955: rimanendo comunque essenzialmente un'”area di occupazione” da parte delle forze alleate che avevano sconfitto Hitler.

Sette decenni di sostanziale pace sul Vecchio Continente – a parte le “operazioni straordinarie” dell’Urss dietro l’ex Cortina di Ferro o crisi regionali come quelle seguite alla dissoluzione dell’ex Jugoslavia – hanno consentito l’affermazione dell’Unione europea come contenitore geopolitico con forti connotazioni economiche. Nove mesi di guerra Nato in Ucraina sembrano però essere bastati a rilanciare l’Alleanza atlantica – a valenza militare – sull’Ue. E se l’Ue sta male, neppure Macron si sente troppo bene. Per non parlare del Cancelliere tedesco Olaf Scholz.

È un fatto: non una buona notizia per l’Italia. Che potrebbe fra l’altro essere oggetto di “rappresaglie”  finanziarie. Anche se non siamo più nel 2011: quando furono gli Usa a premere il grilletto dei rating contro l’Italia di Silvio Berlusconi. Già allora amico “sbagliato” di Putin.

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