Lo scienziato e patologo Rudolf Virchow, che su incarico del governo prussiano nel 1848 condusse una ricerca sulle cause di una epidemia di tifo che stava imperversando nell’Alta Slesia, ebbe a dire che un’epidemia è una questione politica con risvolti medici.
Se al momento non possiamo dire che questa massima del padre della “medicina sociale” che ispirò le riforme dell’assistenza sanitaria nella Germania di Bismarck valga anche per valutare la tempestività e l’efficienza delle misure prese dal governo Conte, in compenso possiamo riflettere sulle evidenti implicazioni geopolitiche della pandemia in atto. “La pandemia è una guerra e arrivare per primi al vaccino vuol dire vincerla”: un’informativa di questo tenore deve essere arrivata a tutte le cancellerie dei paesi che hanno una minima aspirazione a giocare un ruolo sullo scacchiere internazionale.
Una partita a cui l’Italia ha deciso di non partecipare – rinunciando al vantaggio strategico che aveva negli studi sulle cure avanzate e sui vaccini – delegando all’Unione Europea la gestione del piano di vaccinazione. La metafora della pandemia come guerra è stata una costante della gestione medica dell’emergenza, ma a gran parte dei commentatori è sfuggito il vero senso di cosa essa realmente comportasse.
I commentatori hanno dedicato maggior tempo a cercare nemici interni piuttosto che a concentrarsi su cosa implicava, in un’epoca di tensione e instabilità geopolitica, essere al centro di una pandemia. Un atteggiamento che ha fatto passare in secondo piano quello che a un commentatore esterno poteva sembrare il dato più significativo. Ovvero che a fronte di irrisolte criticità strutturali, il paese in qualche modo ha retto e miracolosamente continua a resistere. Una crisi che ha contribuito a ridisegnare gli equilibri internazionali e che l’Unione Europea ha affrontato in base a una logica puramente economicistica.
Al momento possiamo dire che in una fase in cui contano solo i rapporti di forza e il peso geopolitico affidarsi al rispetto di contratti, da tanti definiti poco trasparenti, e a trattative economiche al ribasso, non sembra essere stata una buona idea. Una considerazione che, se messa in relazione al fatto che le campagne vaccinali di Francia e Germania viaggiano a ritmi sostenuti e hanno coinvolto all’incirca il 25% della popolazione over 80, mentre l’Italia con il 7% di vaccinati al momento è fra i paesi che fanno peggio in Europa, rende ancora più evidente il peso dei rapporti di forza e consegna l’Italia alla non invidiabile posizione di essere il paese occidentale che per primo è stato colpito dalla pandemia e che al momento sembra essere destinato a essere l’ultimo a uscirne. Una situazione che non stupisce chi dal primo momento ha sostenuto che la distribuzione dei vaccini avrebbe seguito la logica dei rapporti di forza e degli interessi nazionali.
La realtà effettuale ci restituisce un quadro in cui la situazione dell’Italia può essere assimilata a quella dei paesi contesi che si trovano sulla faglia delle tensioni geopolitiche. I Balcani, le Filippine e i paesi centro-americani si sono trovati nella difficile situazione di dover affrontare il dilemma geopolitico di scegliere a chi rivolgersi per ricevere gli approvvigionamenti di vaccini. Una decisione di certo non facile, perché implica l’ingresso in una determinata sfera di influenza. Il caso dei paesi balcanici, che dopo aver atteso la solidarietà europea hanno deciso di muoversi in autonomia rivolgendosi a tutti i produttori disponibili, è un esempio particolarmente istruttivo per chi si trova ancora in difficoltà.
A tal riguardo, la Serbia rappresenta un caso interessante. Al momento, infatti, dispone di vaccini sufficienti per tutta la sua popolazione e il suo governo si fregia di aver reso il proprio paese autonomo e in grado di dotarsi di tutti i vaccini disponibili sul mercato. Invece la Turchia, paese cardine della Nato, che poteva vantarsi di essere il paese degli scienziati che hanno creato il vaccino Pfizer-BioNTech, ha deciso di adottare il vaccino cinese, spiazzando gran parte degli analisti che in questo caso hanno parlato di una decisione che è il frutto di uno “sbandamento geostrategico”, ma che in realtà rientra nella strategia di un paese che in un momento di grande competizione ha deciso la strada dell’autonomia, non perdendo d’occhio, nel contempo, la propria situazione finanziaria.
La mancanza di una strategia globale condivisa, le indecisioni dell’Oms e la competizione fra Usa e Cina hanno fatto della pandemia l’occasione per un’epocale riconfigurazione degli equilibri fra potenze, una guerra informale combattuta a colpi di notizie non verificate circa l’andamento della pandemia e l’efficacia dei vaccini, tentativi di influenzare l’opinione pubblica di paesi stranieri e piani vaccinali. Uno scenario d’incertezza che probabilmente legherà il proprio destino all’andamento della pandemia, condizionandolo, e che ha avuto nell’Italia uno dei palcoscenici più significativi.
Non sfuggirà agli storici del futuro il caso di un paese che, mentre celebrava la magnificenza della solidarietà europea, accettava aiuti dalla Cina e accoglieva l’esercito russo nelle valli bergamasche, dando così il privilegio agli scienziati russi di studiare il virus e quindi di progettare prima degli altri il vaccino. Probabilmente non è una coincidenza il fatto che il governo Draghi stia pianificando una strategia di uscita dalla pandemia in un momento in cui gli Usa sembrano uscire dalla fase di introversione in cui l’aveva precipitata l’amministrazione Trump.
Non può sfuggire all’osservatore più accorto il fatto che il governo Draghi rappresenta un’eccezione nella storia repubblicana, ovvero la risposta di sistema con cui il paese prova a rispondere alla crisi in atto. La decisione, a cui l’Unione Europea non poteva non dare il proprio assenso, di bloccare le esportazioni di vaccini AstraZeneca e di avviare una produzione autonoma rappresenta il tentativo di giocare con maturità una partita che sui tavoli che contano è stata condotta seguendo la logica, cinica ma realistica, dell’interesse nazionale. Una decisone matura che nasce dalla consapevolezza che l’Italia è stata e rimane un paese conteso e che è ancora in grado di usare a proprio vantaggio questa singolare condizione.
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