PADRE GEORG SPIEGA PERCHÈ BENEDETTO XVI NON SI DIMISE PER LE LOBBY GAY, LA PEDOFILIA O VATILEAKS

L’arcivescovo Georg Gänswein lo aveva promesso a Daniel Roncaglia, parroco del Sacro Cuore alla periferia di Bergamo, già lo scorso ottobre: a ridosso del primo anniversario della morte di Benedetto XVI, il segretario particolare e collaboratore più fedele e vicino al Papa Emerito negli ultimi 20 anni sarebbe venuto nella piccola parrocchia che più volte lo aveva invitato in questi mesi. E così pochi giorni dopo la Santa Messa a suffragio di Ratzinger in Vaticano – e dopo l’udienza personale con Papa Francesco così da “chiudere” alcune tensioni avvertite negli scorsi mesi – “padre Georg” ha mantenuto la promessa. Come descrive la cronaca del “Corriere della Sera Bergamo”, l’arcivescovo al momento ritornato nella diocesi di Friburgo in attesa di possibili prossimi incarichi ha raccontato una volta di più la testimonianza cristiana che fu quello straordinario Pontefice scomparso il 31 dicembre 2022.



Fu proprio a mons. Gänswein che Papa Benedetto XVI disse mesi prima della rinuncia storica al Soglio Pontificio la sua intenzione delle dimissioni: «Fu un colpo durissimo. Gli dissi: Santo Padre, non può farlo». Ma il Pontefice tedesco con calma e amorevole paternità gli comunicò che quella era una decisione e non una “richiesta” di confronto: «mi spiegò che aveva lottato e aveva sofferto, ma non aveva più le forze fisiche e psichiche per esercitare quella responsabilità. Non c’entrano le lobby gay, lo Ior, la pedofilia, Vatileaks». Così padre Georg racconta alla platea della parrocchia di Bergamo durante l’incontro dedicato a Ratzinger a Bergamo: con la rinuncia al Papato, «Non è fuggito, non ha detto “ne ho le tasche piene”, ma ha rinunciato per amore di Dio e della Chiesa. Aveva detto fin dall’inizio “il mio pontificato sarà breve” per l’età, e dopo la rinuncia era convinto che non avrebbe vissuto più di un anno».



GEORG GÄNSWEIN: “MI MANCA PAPA RATZINGER”. LA GIOIA, DON CAMILLO E L’INVIDIA DEI PROGRESSISTI

Secondo le cronache del “Corriere”, mons. Georg Gänswein non avrebbe citato alcun passaggio sui rapporti con Papa Francesco, mentre avrebbe ammesso alcuni dissidi avuti con San Giovanni Paolo II negli anni in cui Ratzinger reggeva la Congregazione per la Dottrina della Fede: «Parlavano almeno una volta la settimana, c’erano differenze sugli incontri di Assisi, le canonizzazioni e altre questioni, ma discutendo le superavano. Il pontificato di Giovanni Paolo senza Ratzinger non sarebbe stato lo stesso, per lui è stato un amico fidato e lo ha riconosciuto pubblicamente». È qui che il segretario di Benedetto XVI si irrita nel pensare a chi negli anni lo ha definito “Panzerkardinal” o peggio ancora “Rottweiler di Dio”.



L’attacco è rivolto all’ala progressista della Chiesa che negli anni ha spesso trattato in malo modo il Papa Emerito: «Era stato al Concilio da giovane e difendeva il Concilio vero, mentre qualcuno lo voleva interpretare. Hans Kung era invidioso, gli disse che da progressista era diventato conservatore per fare carriera, ma non era vero, voleva solo difendere la vera fede». Secondo il racconto fatto dall’arcivescovo, Ratzinger era un uomo la cui vocazione era quella del professore universitario e non la carriera ecclesiastica, riprendo che non era nato per esercitare il potere: «Quando divenne Papa disse: non ho un programma di governo ma voglio mettere al centro del Pontificato la questione di Dio, il resto poi si aggiusta. Era una persona che può essere riassunta in tre parole: umile, mite e intelligente».

Affrontando questioni come la pedofilia, aveva un forte senso di responsabilità racconta ancora Gänswein durante l’incontro a Bergamo: «già da cardinale aveva visto che il grosso problema della Chiesa non sono le persecuzioni o gli attacchi da fuori ma la sporcizia che è prodotta all’interno. Questo gli costava molto. Non l’abbiamo mai visto piangere perché era molto controllato e dominava le emozioni ma soffriva». Guardando i film di Don Camillo e leggendo i racconti di Guareschi, padre Georg ricorda come moltissimi di quegli insegnamenti erano propri della testimonianza cristiana data da Benedetto XVI al pieno servizio della Chiesa: «per lui la gioia era una parola chiave: la fede non è un fardello, ma la gioia ne era uno dei suoi frutti, come anche il suo sottile umorismo». Non lo nasconde e non lo ha mai nascosto in questo primo anno di “lontananza” dalla presenza terrena di Joseph Ratzinger, ma per Georg Gänswein quell’uomo mite e così profondo manca molto: «Sento la sua onnipotenza spirituale ma la sua presenza fisica mi manca molto».