Non c’è solo Minneapolis a ribollire di rabbia dopo l’uccisione di George Floyd da parte della polizia Usa: in tutta America vanno avanti proteste e disordini tali da portare alla mobilitazione dell’esercito. Una delle conseguenze, dopo la morte del 19enne di Detroit sparato da un’auto in corsa, è stata la morte di un militare del servizio di protezione federale deceduto, e un altro rimasto ferito, negli scontri avvenuti a Oakland, in California. Nel frattempo, dopo l’esito dell’autopsia firmata dal medico legale della contea di Heppepin, che ha escluso l’asfissia traumatica e lo strangolamento, la famiglia di George Floyd ha fatto sapere di volere una autopsia indipendente. Lo ha reso noto l’avvocato della famiglia, spiegando che i suoi assistiti non hanno fiducia nelle autorità di Minneapolis dopo l’accaduto che ha portato alla morte di George Floyd. (agg. di Dario D’Angelo)



GEORGE FLOYD, PROTESTE ANCHE DAVANTI ALLA CASA BIANCA: SCATTA LOCKDOWN

Continuano i disordini in America dopo l’uccisione di George Floyd durante un arresto compiuto da agenti di polizia di Minneapolis. Con migliaia di persone che anche dopo l’arresto del poliziotto Derek Chauvin hanno continuato ad inondare le strade del centro incendiando ad auto e cassonetti, il presidente Trump ha deciso di mobilitare l’esercito. Il Pentagono ha dato l’ordine di allerta ad almeno 1700 uomini della polizia militare che a partire da questa sera dovrebbero marciare sulla città. A dire dell’urgenza del provvedimento è anche il fatto che alle truppe è stato chiesto di essere pronte nel giro di 24 ore: una decisione con pochi precedenti. Intanto a Detroit, Michigan, un ragazzo di 19 anni è morto, ucciso da un colpo sparato sulla folla da un’auto in corsa. Anche alla Casa Bianca c’è preoccupazione per la tenuta sociale del Paese: i servizi segreti, per sicurezza, hanno deciso di chiudere la residenza presidenziale anche alla stampa dotata di ‘hard pass’. (agg. di Dario D’Angelo)



GEORGE FLOYD, AUTOPSIA ESCLUDE ASFISSIA

Le proteste per l’uccisione di George Floyd proseguono in Minnesota, ma anche in altre città degli Stati Uniti, a cominciare da Washington. Da ieri, infatti, una folla di manifestanti si è radunata di fronte alla Casa Bianca, la residenza del presidente Trump, chiedendo giustizia, ma anche a New York, Houston e in due città del Missouri. Nel frattempo il poliziotto accusato della morte del 46enne afroamericano è stato arrestato con le accuse di omicidio di terzo grado e omicidio colposo di secondo grado. L’autopsia ha comunque evidenziato come Floyd non sia morto a causa del soffocamento, “Non ci sono elementi fisici – si legge – che supportano una diagnosi di asfissia traumatica o di strangolamento”. L’afroamericano di Minneapolis sarebbe infatti deceduto a causa di alcune patologie pregresse, con l’aggiunta di una sostanza intossicante, oltre che ovviamente a causa dell’effetto combinato dall’essere bloccato a terra. In poche parole, il poliziotto non ha ucciso solamente con la propria pressione la vittima, ma ha contribuito alla sua morte in maniera importante. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



GEORGE FLOYD: MINNESOTA IN FIAMME, ARRESTATO GIORNALISTA CNN

È sempre più paradossale quello che sta accadendo negli USA in quel di Minneapolis dove, a seguito degli scontri susseguenti alla morte violenta di George Floyd, si sono scatenati scontri che hanno trasformato la città in un inferno: e dopo che il locale Procuratore Generale ha chiesto che venga fatta immediatamente chiarezza su questa vicenda, definendo intollerabile l’uccisione dell’uomo da parte dei poliziotti, a finire in manette è stato pure un giornalista della CNN reo solamente di riprendere i tafferugli. Omar Jimenez, inviato ispanico dell’emittente, è stato infatti fermato e ammanettato dai poliziotti mentre stava lavorando assieme alla sua troupe: l’ennesimo episodio di prevaricazione da parte delle forze dell’ordine ha scatenato una nuova ondata di indignazione dato che secondo Jimenez gli agenti non gli hanno chiesto nemmeno scusa e violando di fatto il Primo Emendamento tutelato negli States (agg. di R. G. Flore)

LA RABBIA DEI MANIFESTANTI

Continua la guerriglia a Minneapolis, città che è stata messa a ferro e a fuoco nelle ultime ore dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd, da parte dell’agente di polizia Derek Chauvin. I manifestanti hanno esternato la propria rabbia nei confronti del commissariato locale che è stato dato alle fiamme. Per resistere agli scontri le autorità sono state costrette a chiamare la guardia nazionale, mobilitando almeno 500 uomini, ma come scrive Repubblica, la situazione è tutt’altro che sotto controllo. Gli agenti del distretto di polizia avevano eretto una recinzione attorno alla loro sede, ma è stata abbattuta dalla folla che ha poi saccheggiato e incendiato l’edificio, mentre i poliziotti si mettevano al riparo. La rabbia del movimento avanza al grido “No Justice, No Peace”, visto che i quattro poliziotti responsabili della morte del 46enne Floyd, sono stati immediatamente licenziati ma non arrestati, e sono ancora a piede libero.

GEORGE FLOYD UCCISO, MINNEAPOLIS BRUCIA. TWITTER RICHIAMA ALL’ORDINE TRUMP

Sulla questione è intervenuto anche il presidente Donald Trump, che ha pubblicato un tweet rovente nei confronti dell’amministrazione locale di Minneapolis: “Meglio che riporti al più presto la calma – le parole del tycoon – o farò intervenire l’esercito. Se iniziano i saccheggi noi dobbiamo iniziare a sparare“. Di certo non il miglior modo per riportare la situazione alla normalità, e lo sa bene anche lo stesso social network, che ha dovuto segnalare il cinguettio del commander in chief: “Questo tweet ha violato le regole di Twitter sulla esaltazione della violenza. Tuttavia, Twitter ha stabilito che potrebbe essere di interesse pubblico che il tweet rimanga accessibile”. Nel frattempo si stanno moltiplicando gli episodi di emulazione, e dopo Minneapolis le proteste si sono estese anche alle città di Los Angeles, New York e infine a Louisville dove, pochi giorni fa, un’infermiera afroamericana era stata uccisa dalla polizia che aveva fatto irruzione nel suo appartamento per errore.