Gli ordini all’industria tedesca nel mese di luglio sono scesi dell’11,7% rispetto a giugno, con un calo peggiore delle attese che si attestavano a -4,3%. Il calo del mese di luglio è il peggiore da aprile 2020, quando l’Europa si fermava per i lockdown. La Germania rischia così di avere la peggiore performance economica dei Paesi del G7 nel 2023. Le due principali cause di questa débâcle sono ormai chiaramente identificate: la crisi energetica arrivata dopo le sanzioni alla Russia e la debolezza della domanda cinese. L’Italia fa meglio della Germania, ma dietro questo dato statistico si nascondono dinamiche diverse; in particolare l’Italia, molto più esposta ai servizi e al turismo, beneficia del successo di settori in cui la Germania è più debole dell’Italia.
La “questione” dell’industria tedesca è una questione europea e anche italiana, perché il cuore produttivo del nostro Paese è profondamente interconnesso con quello della Germania. Quello che sta accadendo all’industria tedesca e europea non è un incidente di percorso né un trend globale. Gli ordini all’industria negli Stati Uniti, depurati della componente più volatile legata ai trasporti e in particolare agli ordini di nuovi aerei, hanno fatto segnare un altro segno positivo a luglio. La crisi europea non ha corrispettivi in America. La crisi energetica europea è strutturale perché le sanzioni alla Russia rimarranno; l’alternativa sembra essere la “transizione energetica”, ma essa è un processo che richiederà investimenti colossali e un paio di decenni. Se l’Europa rinsavisse e posticipasse gli obiettivi “green”, preoccupata dai dati economici, troverebbe comunque sull’altra sponda del Mediterraneo e nell’Africa subsahariana, dove ci sono le risorse, una situazione complicata.
La crisi cinese è strutturale perché Pechino non può più essere la fabbrica del mondo, per i cambiamenti geopolitici in atto. La produzione cinese si sposta in altre geografie: verso l’India in particolare e in parte anche verso i Paesi occidentali che riescono a offrire un mix stabile di prezzi energetici bassi, certezza regolamentare e incentivi fiscali. Gli Stati Uniti, in questo senso, sono l’esempio massimo. La chimica europea, per citare un settore al centro dei sistemi industriali, ormai è fuori gioco e viene surclassata, in termini di competitività, dagli Stati Uniti che vivono una fase di rinascita industriale.
Se dunque le ragioni del crollo degli ordini all’industria tedesca di luglio sono la crisi energetica e la debolezza della domanda cinese, allora il problema è strutturale e profondo. Quanto successo in particolare negli ultimi due anni, da quando alla fine della primavera 2022 è esplosa la crisi ucraina ed è iniziato il processo di ristrutturazione delle catene di fornitura globale su nuove linee politiche che non includono la Cina, è un colpo mortale al modello europeo, basato su materie prime ampiamente disponibili a basso prezzo e commerci globali fluidi. In questo modello l’industria europea brillava.
Ora l’Europa deve trovare un nuovo modello e, soprattutto, deve ricreare le condizioni per la sopravvivenza della sua industria. Senza ripensamenti profondi, davanti a una crisi strutturale, la tentazione diventa quella di contenere i problemi, anche sociali, con un dirigismo governativo di cui si vede l’inizio ma non la fine.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI