Con quella faccia da bravo rosticciere che ti ha appena affettato il prosciutto buono, sono due etti e qualcosa, che faccio lascio? e quel nome da fumetto, Olaf, uno stenterebbe a credere che Scholz sia un politico navigatissimo. E sbaglierebbe.

Da giovane, prima di perdere i capelli, Olaf Scholz assomigliava vagamente a Danton. Nato nel 1958 ad Amburgo, studi giuridici, di professione avvocato proprio come il rivoluzionario francese – ma le analogie per fortuna di Scholz finiscono qui, Danton perse la testa durante la rivoluzione, Olaf nella Revolution del 1968 aveva 10 anni e giocava coi trenini -, nel 1975 entra nel partito socialdemocratico tedesco dove si mette subito in mostra come vicepresidente dell’unione internazionale della gioventù socialista. Nel 1998 viene eletto per la prima volta deputato al Bundestag. Tra il 2000 e il 2004 ricopre la carica di presidente del partito.



Le date da incorniciare sono il 2007, quando diventa ministro del Lavoro nel primo governo Merkel; il 2011, quando viene eletto sindaco di Amburgo, carica che ricoprirà per due volte, e il 2018, quando diventa ministro delle Finanze del quarto governo Merkel.

Gli esordi nel gruppo dirigente della Spd avvengono sotto l’era Schroeder, ma i successi arrivano con i governi Merkel. Negli anni Scholz, dotato di una tenacia inossidabile, ha accumulato più cariche di quante non siano le medaglie che sfavillano sul petto del generale Figliuolo. La carriera dell’avvocato di Amburgo non ha mai una battuta di arresto, mai un ripiegamento, mai un passo indietro. Immer vorwärts, sempre avanti.



Politicamente appartiene all’ala conservatrice della Spd, quella che si trova a suo agio nel gabinetto di Angela Merkel, di cui condivide la linea di politica economica. Per i socialdemocratici più di sinistra è l’ennesimo pugno nell’occhio. Ma considerando che è da quando il partito appoggiò la legge sui crediti di guerra, nel lontano 1914, che la sinistra Spd prende ditate negli occhi, oggi dovrebbe essere praticamente cieca.

Nello specifico, Scholz appoggia la riforma delle pensioni che privatizza parzialmente il sistema pensionistico tedesco, spinge per riforme neoliberiste, lavoro flessibile, riduzione dello stato sociale. La sua vicinanza con le posizioni della Cdu di Angela Merkel, di cui è un fedele collaboratore, lo rendono sempre più sgradito a molti compagni di partito, per i quali non è un vero socialdemocratico. Ma nonostante il vento ostinato e contrario che un po’ lo ferisce, Olaf tira dritto e il suo impegno diventa decisivo per il cambio di posizione della Germania rispetto ai debiti comuni europei. In fondo non ha mai nascosto che per lui il Recovery fund debba essere il primo passo verso un’unione fiscale. “La Germania è un paese forte, ci siamo impegnati in modo solidale in Europa e abbiamo contribuito al suo rilancio economico dal quale traiamo molti vantaggi” dichiara in un video della Zdf in cui spiega il cambiamento che rompe, almeno temporaneamente, con 20 anni di politica di austerity.



La pandemia è la sua Sedan. Da ministro delle Finanze sovraintende all’enorme pacchetto di aiuti economici alle imprese che manda in soffitta il vincolo di bilancio: oltre 200 miliardi di euro elargiti a luglio 2021 in varie tranches e secondo modalità diverse. Ma, considerando le garanzie della banca statale KfW, il volume di fuoco a disposizione del ministro supera i 1.000 milioni di euro. Vengono salvate imprese, di cui non poche quasi sull’orlo del fallimento, e posti di lavoro, però nessuno si domanda cosa accadrà quando si chiuderanno i rubinetti. Tornerà l’austerity, ci sarà un’esplosione della disoccupazione legata anche al processo di digitalizzazione, tornerà l’inflazione oppure tutte e tre le cose insieme come nel 1923? Nessuno domanda, nessuno critica, Olaf giustamente tace e intanto si candida a Cancelliere.

L’ex sindaco di Amburgo è un finto perdente, uno che all’inizio della competizione elettorale nessuno metterebbe nel lotto dei favoriti, eppure alla fine vince lui. O forse è solo fortuna. Certamente la dea bendata gli ha dato una mano accecando i suoi rivali. Delle disgrazie di Läschet abbiamo già detto, ma anche Annalena Baerbock non si è fatta negare nulla; dai curriculum con esperienze professionali inventate di sana pianta, all’accusa di plagio del suo libro “Adesso” uscito lo scorso giugno. I due colpi le hanno sfiammato l’entusiasmo nel bel mezzo della campagna elettorale e “adesso” Baerbock arranca a -10% dietro a Scholz.

Il quale avrebbe degli scheletri nell’armadio mica da ridere, se solo qualcuno si azzardasse ad aprirlo l’armadio. Ogni riferimento allo scandalo Wirecard è assolutamente voluto. Wirecard era la società di servizi finanziari con sede ad Aschheim, presso Monaco di Baviera, fallita a giugno 2020 a causa della scomparsa dai suoi conti di 2 milioni di euro. In particolare, l’autorità federale di vigilanza finanziaria, sotto diretto controllo del ministero delle Finanze, fu accusata di incompetenza, se non addirittura di complicità con i vertici di Wirecard. I sospetti arrivarono fino a Scholz, che dovette giustificarsi davanti alla commissione d’inchiesta parlamentare.

Pochi anni prima, siamo nel 2016, un altro scandalo finanziario aveva gettato ombre sull’operato di Scholz. Si trattava del cosiddetto scandalo Cum-ex, la maxi-frode fiscale realizzata attraverso un complesso meccanismo di compravendita di azioni a livello europeo, che sottrasse tasse per centinaia di milioni di euro a diversi Stati. Tra le banche che si sono arricchite con questo gigantesco monkey business, anche una di Amburgo ai tempi in cui Scholz era sindaco. La domanda che si fa il primo canale tedesco è: come mai l’allora sindaco di Amburgo Olaf Scholz non ha preteso la restituzione dei 47 milioni di euro che la banca Warburg ha incassato nel 2016 grazie alla truffa ai danni del fisco tedesco? Scholz non ha mai fatto chiarezza, ma i contatti tra funzionari della banca e il gruppo di dirigenti amburghesi della Spd erano arcinoti.

Per il momento Läschet e Baerock esitano ad affondare il colpo, temendo forse di scoprire altarini pericolosi; lo scandalo Wirecard, infatti, coinvolge molti ex dirigenti della Csu.

Nel frattempo Olaf tira dritto come suo solito, sebbene il partito continui a non amarlo. Ma l’ex avvocato che da giovane assomigliava a Danton non se ne fa un cruccio, perché compensa ampiamente con le simpatie che gli arrivano dall’esterno.

Secondo i sondaggisti, Scholz sarebbe l’unico candidato in grado di attirare i voti degli indecisi e perfino di chi in passato ha votato altri partiti. Questo è vero soprattutto per gli elettori della Cdu, che hanno un candidato debole, ma anche per quelli di sinistra, attirati dalla proposta di aumento del reddito minimo fatta balenare davanti ai loro occhi da Olaf come una mancia inattesa.

In questo modo Olaf Scholz ha piazzato la Spd nella posizione centrale della scacchiera politica, quella che garantisce il controllo strategico della campana elettorale. Da qui può aprire a una coalizione con Cdu e Verdi, oppure, a seconda dei risultati elettorali, coinvolgere la sinistra o i liberali della Fdp. Comunque vada il pallino ce l’ha in mano lui. E così il ministro delle Finanze con la faccia da bravo rosticcere sente già profumo di vittoria. Sono 30% e qualcosa, che faccio dottò, lascio?