Una gran brutta aria tira dalle parti di Berlino, sia dal punto di vista politico che economico, e non è una bella cosa neppure per l’Italia che il cancelliere tedesco Olaf Scholz sia sull’orlo delle dimissioni, nel senso che una crisi in Germania può avere ripercussioni economicamente negative per tutto il continente.
Diciamocelo francamente: un po’ i tedeschi questa crisi se la sono andati a cercare, visto che l’attuale maggioranza di governo è una ibrida alleanza sostanzialmente di sinistra tra socialdemocratici, verdi e liberali che – per mettersi insieme – hanno dovuto forzatamente unire posizioni diverse e spesso configgenti tra loro, mai fidandosi l’uno dell’altro, il che ha dato il vento in poppa all’opposizione della CDU-CSU che medita la riscossa.
Il tutto condito (o motivato) da una crisi economica molto seria che sta progressivamente mettendo in difficoltà una Germania tecnicamente in recessione e che dopo decenni da “locomotiva d’Europa” vede ora ridursi lo sviluppo e quindi crescere lo scontento.
Le cause sono diverse: alcune storiche, altre di medio termine e infine tutta una serie di guai d’attualità.
Dopo un dopoguerra di ricostruzione e di rilancio la crescita tedesca è continuata con l’assorbimento della ex DDR e conseguente allargamento ad Est dei mercati verso tutta l’Europa Orientale, diventata una sorta di colonia economica tedesca.
Inoltre, visto che i rapporti con gli Stati Uniti sono da sempre corretti ma non certo entusiasmanti (gli USA considerano da sempre la macchina industriale tedesca come una potenziale concorrente anche sul piano interno), la Germania ha guardato ad Est, non solo ai Paesi vicini e alla Russia quanto soprattutto alla Cina.
Inoltre ha fatto affari d’oro per anni con Mosca, in uno scambio gas-prodotti finiti che improvvisamente si sono bloccati per via della crisi ucraina, ma da quando anche il Dragone ha cominciato a ridurre il suo sviluppo pure Berlino ha dovuto prenderne atto.
L’ affievolirsi della spinta propulsiva che aveva spinto la Germania a crescere anche – o soprattutto – per un positivo andamento dell’export disponendo di energia a basso costo, ha fatto ora arrivare al pettine alcuni dei nodi che il lungo cancellierato della Merkel aveva attenuato o coperto: una forte crescita del costo del lavoro, un aggiornamento troppo lento delle infrastrutture, l’incidenza dei costi energetici.
A complicare una congiuntura strutturale generale già difficile ci si sono poi messi prima il Covid e poi la guerra in Ucraina con il taglio delle forniture russe di gas. Un dramma per la Germania, che dipendeva da Mosca, e che rischia di non poter più connettersi facilmente con la Russia anche se improvvisamente scoppiasse la pace, perché qualche “manina” non troppo amica ha distrutto i gasdotti del Baltico.
Intanto l’aumento del costo delle materie prime ha imposto al governo una serie di misure di aiuti che pesano come macigni sulla finanza pubblica perché, senza gas disponibile, l’energia costa enormemente di più.
Pur riaprendo il discorso nucleare, nel breve termine sarebbe logico il ricorso al carbone (di cui volendo ce ne sono ampie riserve), ma per un governo che ha nel partito dei verdi una delle tre determinanti forze in coalizione è ovvio come questa scelta sia oltremodo difficile e più o meno mascherata a livello di opinione pubblica. Intanto però i costi energetici hanno messo a dura prova la produttività tedesca, molte aziende sono fallite o producono a forza minima e si rischia di mettere in crisi a livello di prezzi tutto il sistema, creando una spirale da cui Olaf Scholz non sembra in grado di uscire.
I sondaggi sottolineano che in due anni la popolarità del cancelliere è scesa ai minimi così come quella dei partiti della coalizione “semaforo” (rosso-giallo-verde) che lo sostengono.
Tre quarti dei tedeschi sono critici verso il governo, la SPD è precipitata al 14% perdendo quasi metà dei propri elettori e se i verdi restano costanti intorno al 13%, i liberali – secondo i sondaggi – non arriverebbero nemmeno al 5%, rimanendo quindi esclusi dal parlamento. In totale la coalizione di governo raggiungerebbe oggi a fatica il 33% dei suffragi.
Per contro i democristiani hanno superato ormai stabilmente e da alcuni mesi il 30% delle intenzioni di voto (soglia che psicologicamente in Germania “conta” per esprimere il cancelliere) mentre l’estrema destra di AfD è stabile al 23% (con punte di oltre il 30% nelle regioni orientali del Paese), bloccata nella sua crescita solo da quando la CDU-CSU di Friedrich Merz ha decisamente imboccato una strada conservatrice.
Paese ingovernabile? Si parla di nuove elezioni generali in concomitanza con il voto europeo, ma molti – a cominciare dalla Confindustria – sostengono che sarebbe un errore fatale bloccare il Paese per sei mesi di campagna elettorale, anche se mai negli ultimi decenni la popolarità del governo è scesa ad un livello così basso.
Da ultimo, altre grane si profilano per Scholz, che non è riuscito a far varare in tempo utile il bilancio federale 2024, e si moltiplicano le voci di uno scandalo che vedrebbe coinvolti esponenti vicini al governo in un traffico di informazioni verso la Russia – volontariamente o inconsapevolmente ancora bene non si sa – ma che certamente rischia di creare altri imbarazzi al cancelliere.
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