BERLINO – I tedeschi hanno sempre avuto un debole per i western di Sergio Leone. Così, quasi a rendere omaggio al maestro italiano, hanno chiamato triello il confronto televisivo tra i candidati alla Cancelleria 2021 dei tre maggiori partiti: Armin Laschet in quota Cdu, Annalena Baerbock dei Verdi e Olaf Scholz della Spd. Nello studio televisivo i tre sfidanti erano disposti a triangolo lungo il perimetro di un cerchio immaginario, quasi a evocare la scena finale del film Il Buono il Brutto e il Cattivo, quando il Biondo, Tuco e Sentenza si fronteggiano in uno stallo alla messicana sul cerchio di pietre arroventate al ritmo incalzante delle note di Ennio Morricone.



Certe cose attirano l’attenzione dello spettatore nonostante i protagonisti siano dei politici, e quando la giornalista che conduce il triello da fuoco alle polveri con la domanda fulminante: “Perché secondo lei, signor Laschet, la signora Baerbock non è adatta a fare la Cancelliera?”, lo spettatore elettore si sfrega le mani e gongola: “avanti, adesso datevele di santa ragione e chi rimane in piedi avrà il mio voto”.



E invece niente. Laschet non dà soddisfazione e risponde come un Veltroni qualsiasi (ricordate il candidato dello schieramento a me avverso?). Scuote appena la testa e bofonchia che lui certe cose non le fa, non è nel suo stile, lui è per la critica costruttiva e bla bla bla. La giornalista non demorde e rivolge la stessa domanda prima a Baerbock e poi a Scholz ma nisba, entrambi rifiutano di estrarre. Stallo. In studio c’è puzza di patto di non aggressione, praticamente il Giamaica (come viene chiamata la possibile coalizione Verdi-Cdu-Spd) te lo servono sul piatto già prima del voto. Roba da spegnare subito la tv.



Tutto sembra avviato verso un monotonissimo chiacchiericcio tra cani che hanno deciso di non mordersi, quando ecco Laschet! Il candido Armin, il ridanciano Armin, oggi però molto meno allegro del solito, rompe gli indugi e mostra il suo lato combattivo. Con lo sguardo un po’ spaurito ma pur sempre aggressivo di un animaletto domestico che s’azzarda ad affrontare una fiera più grossa di lui, punta la Baerbock e la inchioda sul discorso tasse: “Parlate sempre e solo di aumentare le tasse”. Annalena lo scruta come se guardasse un cagnolino che l’ha appena morsa alla caviglia e fatica a dire qualcosa di incisivo a parte un moscio “Spalle più robuste possono permettersi di portare pesi più pesanti”.

Ma Laschet non demorde e continua ad andare all’attacco. Sulla sicurezza, tallone di Achille dei Verdi per i quali la lotta alla criminalità non è mai stato una priorità, invoca più videosorveglianza – come se il suo partito fosse all’opposizione e non al governo da due decenni – più polizia, più lotta alla criminalità. “Le donne si sentono insicure nei parchi e nelle vie oscure” sentenzia fissando con certi occhietti cattivi la Baerbock.

L’accusa nemmeno troppo velata è rivolta alla politica di accoglienza totale predicata dai Verdi, i quali negano che esista un problema di criminalità legato all’immigrazione. E chi sostiene il contrario naturalmente è un razzista. Baerbock questa volta non lascia correre e risponde secca, quasi come se parlasse della vita privata di Laschet: “Il posto più insicuro per le donne è la loro casa”. E vai di statistiche sulle violenze domestiche, femminicidi, stalking. Armin Laschet incassa e rintuzza, non sta un attimo calmo, soffre, muove le mandibole come se masticasse qualcosa, ha la faccia sofferta. Il dramma di quest’uomo è comprensibile. Qualcuno nel suo partito lo vorrebbe sostituire in corsa come una ruota bucata. Pit stop veloce, fuori Laschet dentro Söder e via. Non era mai successo che un candidato Cancelliere fosse cambiato in corsa. Per il momento sono solo voci ma fanno male. Per questo Armin si dà tanto da fare, cerca di essere aggressivo, vuol far vedere che può fare la differenza.

Mentre i due duellano, Scholz si mantiene a distanza di sicurezza per non rischiare il suo gruzzolo di vantaggio che lo dà incredibilmente al 30%. Olaf è in una botte di ferro. In qualità di ministro delle Finanze del governo Merkel, durante la pandemia ha staccato assegni per milioni di euro per le imprese tedesche, e con la sua proposta di portare il salario minimo a 12 euro l’ora e trasformare i mini job (una forma di lavoro flessibile sottopagata) in contratti regolari sta pure prosciugando lo stagno alla sinistra. Ogni tanto, giusto per ricordare ai presenti che c’è anche lui, pronuncia qualche banalità tipo “rafforzeremo la cooperazione internazionale” a proposito della crisi in Afghanistan, oppure “dobbiamo migliorare il nostro sistema fiscale”.

Nel frattempo Laschet non molla e, sempre rivolto alla Baerbock, che rappresenta la vera minaccia per la Cdu che a questo giro rischia di finire terza dietro Spd e Verdi, invoca più investimenti per l’esercito. “L’esercito in Afghanistan s’è scansato” replica la Baerbock che ora ribatte colpo su colpo e subito dopo, stimolata dai conduttori, parte in una tirata delle sue sul tema madre dei Grünen: il cambiamento climatico. Di fronte al sermone ambientalista Laschet e Scholz sono costretti al Kratzfuß (la riverenza). Idem per la lotta al Covid, dove nessuno dei tre nemmeno si sogna di accennare al problema dei diritti fondamentali messi spalle al muro dalla politica sanitaria.

Così lentamente il triello si spegne e si avvia alla conclusione. Ormai si attendono i titoli di coda quando Scholz la butta lì con nonchalance: non esclude affatto un’alleanza con i Linken, il partito di sinistra. La dichiarazione a tradimento getta nel panico il povero Armin Laschet che incalza quello che ormai sperava fosse un fedele alleato di governo, con un: “I cittadini vogliono sapere se lei è disposto a farsi eleggere Cancelliere con i voti della sinistra radicale. Risponda, sì o no?” E senza attendere la risposta di Scholz, precisa che la Cdu non farà mai una coalizione con la sinistra estremista.

Beh, direte voi, allora chi ha vinto? Difficile dirlo, forse Scholz, certamente non Baerbock e a Laschet va riconosciuto il merito di aver movimentato il dibattito. Però questi sono dettagli quasi inutili. La cosa certa è che quando sul triello cala il sipario, la sensazione è quella di aver assistito alla rappresentazione di una filodrammatica dove il grande assente è stata la realtà. Il mondo reale, che sta fuori dalla bolla mediatica dove trionfa una narrativa preconfezionata, è rimasto escluso. I conduttori non hanno nemmeno provato a spingere i politici fuori dalla loro confort zone.

Eppure, per farlo sarebbero bastate tre domande semplici: una sui diritti fondamentali schiacciati tra una politica sanitaria ricattatrice e uno stato di emergenza di cui non si vede la fine, una sulla carenza delle materie prime in conseguenza del crollo del commercio globale che sta flagellando l’industria tedesca ed europea riaccendendo l’inflazione, e infine una sulla nuova ondata di profughi afghani. Si ha intenzione di ripetere il 2015 e far entrare nel paese centinaia di migliaia di musulmani tra i più tradizionalisti? Si pensa veramente che aumentare il numero della popolazione musulmana nei paesi europei non avrà conseguenze sulla nostra società?

Per farle ci sarebbero voluti dei giornalisti interessati alla realtà e non degli sceneggiatori da soap opera. Per rispondere ci sarebbero voluti dei politici veri, alla Helmut Schmidt o Willy Brandt, e non dei rappresentanti di commercio. Così si è trattato di un teatro dei pupi e come tale è stato raccontato.

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