Si cominciano a vedere gli effetti dirompenti della sentenza di Karlsruhe. Secondo l’agenzia Reuters la Bce starebbe predisponendo un piano di emergenza per far fronte al suo programma di acquisti di titoli di Stato – e dunque di aiuti ai paesi in difficoltà – senza la Bundesbank. Ciò si deve alla sentenza della Corte costituzionale tedesca, che ha chiesto alla Bce di giustificare l’entità dei sui acquisti entro l’inizio di agosto o continuare il programma senza la Bundesbank. Proprio per questo, “il personale della Bce – riporta Reuters – e le banche centrali nazionali della zona euro si stanno preparando per quella che una fonte ha definito ‘incredibile’: uno scenario in cui il tribunale vieta alla Bundesbank di prendere parte agli acquisti”.



È evidente che l’euro non è mai stato a rischio come in questo momento. Secondo Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, il calabrone-euro continuerà a volare, nonostante i “buchi di progettazione” del sistema europeo. E non cadrà sia perché sarà la Bce a tenerlo in piedi, sia “perché in questo momento non c’è nessun interesse a farlo cadere, né in Europa, né fuori d’Europa”.



La Bce starebbe predisponendo un piano di emergenza per far fronte al suo programma di acquisti senza la Bundesbank. Che ne pensa?

Lo vedo come un segno di efficienza. Per quanto paradossale possa sembrare, la predisposizione di scenari e linee di azione conseguenti fa parte del lavoro di ogni banca centrale. Ed è apprezzabile che questo si faccia.

Ma che messaggio si manda?

Guardi, solo qualche anno fa ci si scandalizzava in diretta televisiva che qualcuno ragionasse di scenari di rottura dell’Eurozona. In realtà ogni banca centrale deve avere linee di intervento da attivare in caso di bisogno. Rientra nelle sue funzioni di stabilizzazione.



Anche di una banca centrale anomala come è la Bce?

Certamente. Semmai la stranezza è che se ne parli su Reuters. È evidente che se si passa una notizia del genere alla Reuters è perché si vuole che questo si sappia in giro. Credo faccia parte di una strategia di confronto che è partita una settimana fa e non si è ancora placata.

Allo stesso tempo la Bce “avrebbe avviato un’azione legale contro la Banca centrale tedesca, il suo principale azionista, per riportarla nel programma”. Bce, Bundesbank, Parlamento tedesco. Qual è l’istituzione più in difficoltà e perché?

È quello che le dicevo ora sulla strategia di confronto che è partita il giorno dopo il deposito di Karlsruhe. In Commissione si è cominciato a parlare di possibili procedimenti di infrazione contro la Germania per una sentenza della sua Corte costituzionale. Io l’ho trovato molto inopportuno, al limite dell’ingenuità. E speravo che la cosa fosse dimenticata in fretta.

E invece?

Invece, tanto a livello di Commissione – che nella sua composizione attuale sta rivelando limiti impressionanti di strategia e di leadership – come a livello di Bce si insiste su questo punto. È gente che non sa – o finge di non sapere – come è costruito l’ordinamento Ue e quali sono i suoi buchi di progettazione.

Come si spiega questa colpevole o incolpevole lacuna?

Si spiega col fatto che si tratta principalmente di funzionari a formazione economica che non sono attrezzati per capire quali sono i limiti dell’ordinamento europeo. E i rischi di conflitto costituzionale insiti in ogni struttura federale. Anche di una struttura che vuole replicare il funzionamento di una federazione senza esserlo.

Qual è secondo lei l’errore dei mandarini europei?

Credono davvero che la Corte di Giustizia sia la Corte di chiusura dell’ordinamento Ue. E non hanno nessuna cultura né storica, né istituzionale. Perché per lo più della Germania non sanno né la lingua, né la storia costituzionale. È essenzialmente un problema di qualità del funzionariato europeo. Ci si laurea in economia in qualche università in giro per l’Europa, si fa qualche master, e si entra nel giro per fare carriera.

Un suggerimento?

Informarsi su cosa è stato il conflitto Prussia versus Reich e a cosa ha portato. Come dice bene Giulio Sapelli, l’Europa è governata da gente che si è formata sulla partita doppia, sicché si crede di poter andare allo scontro tra Corti credendo di vincerlo, Trattati alla mano, perché “si sa come vanno queste cose”. Verrebbe da rispondere “Auguri” e farsi una risata, non fosse che ci siamo in mezzo anche noi.     

Ma come si spiega che la sentenza di Karlsruhe ha generato degli effetti che in termini di rispettiva autonomia e di decisione da parte di parlamenti, corti e banche centrali appaiono fuori controllo?

Al momento non sono ancora fuori controllo. Sono solo parole di chi sta scoprendo i limiti di una replica funzionale di una federazione. E rischia di scoprirlo nel modo peggiore, alzando i toni. Ma se vuoi marginalizzare la politica e ridurla ad un paravento, devi almeno formare bene i tuoi funzionari. Gli inglesi lo hanno saputo fare fino ai tempi del loro impero, tant’è vero che la spina dorsale del potere britannico si formava a Oxford e Cambridge.

E in Europa?

In Europa invece si sono prodotti quelli che credono di vivere in uno Stato federale, nel nome del “sogno europeo”. Bisogna ammettere che la propaganda eurofila di questi anni ha giocato un ruolo nella formazione di questo personale e nella sua qualità.

Anche l’euro è a modo suo un’istituzione politica. Quanto rischia?

È dagli anni 90 che si sa benissimo cos’è un’area monetaria ottimale, quali ne sono i limiti e quali i vantaggi. Prima erano solo cose per cultori delle scienze economiche. Ricorda la frase per cui l’euro sarebbe stato un calabrone?

Anche il calabrone non dovrebbe volare, secondo le leggi della fisica, eppure vola, eccetera.

Diciamo che il calabrone ha continuato a volare negli ultimi 10 anni grazie a continui accorgimenti, e alla creazione di una costituzione economica parallela, in deroga a quanto scritto nei Trattati. E l’artefice di questa costituzione è stato Draghi. Adesso che la qualità del funzionariato di vertice della Bce è cambiata, il calabrone stenta.

Potrebbe cadere?

No, non cadrà perché in questo momento non c’è nessun interesse a farlo cadere. Né in Europa, né fuori d’Europa. Ed è fuori d’Europa che si gioca davvero l’esistenza dell’euro, nonostante la ridicola autoreferenzialità del dibattito che si svolge tra Berlino, Parigi e Francoforte. Non si capisce che l’euro va collocato in un quadro molto più ampio delle questioni sul Mes o sul Recovery Fund. E dipende dai Trattati, che sono una costruzione fragilissima, nonostante la propaganda di cui sono imbevuti i funzionari della Commissione.

Ma non quelli della Bce.

No, perché in Bce sono molto, ma molto più avvertiti. E sanno di muoversi in una cristalleria. Che dipende molto da Fed, Bank of England e Bank of Japan. Perché con queste hanno a che fare tutti i giorni. A stabilizzare il quadro finanziario mondiale sono queste quattro banche. Non la Commissione o il Consiglio europeo, con i loro funzionari da foglio Excel che stanno portando un continente a sbattere con le loro dichiarazioni. Che cosa fanno se fra tre mesi la Corte tedesca ordina alla Bundesbank di fare un passo indietro? È gente che non si rende conto. E per questo in Bce giustamente ci si attrezza.

Fatto sta che il Parlamento tedesco sembra diviso tra ordinamento comunitario, eurosistema e Legge fondamentale. Cosa sceglierà? O ha già scelto?

Credere che la decisione di Karlsruhe sia stata adottata in disaccordo, o soltanto all’insaputa del Governo federale è una cosa che si può pensare in Italia. E su qualche giornale male informato. La Corte tedesca ha sempre giocato un ruolo di primo piano nelle strategie del Governo federale ed è sempre stata coerentissima nell’affermare il primato della Costituzione federale sui Trattati, fin dal 1993.

Dunque in Germania le idee sono molto chiare.

Certo. Abbiamo accettato di prenderci l’euro per riunificarci – pensano a Berlino –, però il cardine del patto di Maastricht era il divieto di mutualizzazione del debito. Sono 10 anni che state forzando il patto. Adesso vi chiediamo di rispettarlo, in nome della nostra costituzione. Quindi niente acquisti oltre il capital key (la quota di partecipazione in Bce) e niente mutualizzazione del debito. Vengono in mente le ultime dichiarazioni di Schäuble…

“Se falliamo di fronte a questa crisi, il tempo dell’Europa è alla fine. Non stiamo mutualizzando il vecchio debito”, ha detto a proposito del Recovery Fund.

Il Recovery Fund si potrebbe fare proprio perché non sarebbe mutualizzazione del debito passato. Ma questo testimonia del gioco di forze in atto già all’interno della Germania. Figurarsi fuori, vista la pluralità di attori in campo. D’altronde, se per governare un continente ci si affida ad una poliarchia a base burocratica ed economica i risultati alla fine non possono essere che questi.

Cito dalla Financial Stability Review della Bce: “Se le misure prese a livello nazionale o europeo fossero giudicate insufficienti per preservare la sostenibilità del debito in alcuni Paesi la valutazione del rischio di ridenominazione sui mercati potrebbe tornare ad aumentare”. Come commenta?

L’asta dei Btp dei giorni scorsi ha stupito gli operatori del settore. Il capo economista  di Unicredit, Erik Nielsen, ha spiegato bene due giorni fa la situazione di sostenibilità complessiva del nostro debito, che si fonda sull’enorme ricchezza depositata nelle banche italiane e di proprietà degli italiani. Un ricordo del passato recente, certo, e della giapponese propensione al risparmio del passato. Però in questi mesi di coronavirus il livello dei depositi è addirittura cresciuto. Sbandamenti sullo spread sono sempre possibili, perché questo è implicito nell’architettura monetaria europea, ma nessuno ha interesse, in questo momento, a premere sull’acceleratore.

Se dunque il problema italiano non è la scarsità di risorse, allora qual è?

È l’incapacità di trovare una classe politica prima, e una classe dirigente poi, che queste enormi risorse le sappia mobilizzare nell’interesse del Paese. Se ci fosse, anche il paese darebbe le fiducia.

E come mai non c’è?

È uno dei tanti regali di Tangentopoli.

(Federico Ferraù)